Come è un’Arte Solidale?
Pillole d’Arte Sobria N°3
“ … Giovanni Pisano per me esprime nelle sue sculture la condizione umana… questa stessa qualità rende Masaccio, Piero della Francesca, Rembrandt, l’ultimo Michelangelo veramente grandi…. Sono profondamente convinto che Giovanni fu grande perché comprese i suoi simili; e se mi si chiedesse come giudico i grandi artisti, risponderei che li giudico per questi valori, non per la loro abilità nel disegnare, nello scolpire, dipingere, o comporre. La loro grandezza sta nella loro umanità”
Henry Moore, introduzione al libro di M Ayrton “Giovanni Pisano”, Londra, 1970
Che si condividano o no le affermazioni del grande scultore Henry Moore sui suoi colleghi, il suo pensiero offre uno spiraglio per iniziare la riflessione su cosa sia e come si possa praticare un’arte solidale oggi.
Oggi il concetto di solidarietà è richiamato in molti contesti, ma al tempo stesso mi sembra spesso sia tradito e disatteso o quanto meno – tra covid e guerre, stemperato se non pericolosamente smarrito. Non penso si comprenda mai abbastanza della solidarietà, e le sue declinazioni possibili sono moltissime. Legarle all’arte non mi sembra del tutto sbagliato, anche se non sono in grado di spiegare bene il perché, e qualcuno ha sostenuto, come Bartali, che non conviene parlare dell’arte della solidarietà. A costo di rischiare la figura dell’ingenuo, del pollo, cercherò invece di parlarne sempre.
L’arte autentica nasce da un bisogno espressivo individuale e non ha in effetti immediatamente bisogno della solidarietà per essere autentica. Può non risultare mai collegata ad alcun tipo di solidarietà concreta verso altri esseri senzienti, e lo stesso può dirsi di alcuni artisti.
La solidarietà è per alcuni individui un valore e una pratica, a volte un autentico bisogno e una scelta di vita, esattamente come è un bisogno l’arte. L’urgenza espressiva è bisogno umano che può generare opere d’arte, non per forza deve con questo generare solidarietà: gli “artisti”, o aspiranti tali, secondo me sono come tutti gli altri esseri umani, e come molti esseri umani possono avvertire molto, poco o per nulla interesse a praticare, oltre alla propria arte, la solidarietà verso altri esseri umani.
Soddisfare il proprio daimon artistico può essere sufficientemente impegnativo e totalizzante da lasciar poco spazio per qualsiasi altra attività oltre a quelle di stretta sopravvivenza. Non credo ci sia differenza tra ‘artisti’ e ‘non artisti’ – ammesso che abbia senso fare una distinzione tra i risultati degli ‘artisti di professione’, tutti gli altri praticanti occasionali delle creatività, e quelli che non la praticano mai o quasi mai.
La creatività è qualità formativa indispensabile alla cultura che ritengo presente in certa misura in qualsiasi essere umano cosciente (si veda al riguardo il mio articolo “Arte incolta, art brut e dintorni. Cosa sono?”), esisteranno comunque diversità e gradi enormi tra tutte e tutti.
Se la solidarietà è qualcosa che si mette in pratica, e lo è, può essere estesa non solo agli umani ma a tutti gli esseri senzienti, e questo richiede – talvolta enormi – eccedenze di energie vitali.
E’ possibile che, dopo aver fatto – o tentato di fare – arte, qualcuno voglia mettere insieme, armonizzare i due diversi bisogni umani: arte e solidarietà, o se si preferisce estetica ed etica.
L’associazione arte solidale è nata con questo intento, appunto: tenere insieme in sinergica armonia arti visive e solidarietà, perché questi due sono sempre stati i bisogni che io reputo migliori dentro di me, e alcuni amici, mi pare, avvertono qualcosa di simile.
L’obiettivo è quindi quello di fare arte generando, nel contempo, solidarietà. Se si considera l’etimologia della parola simbolo (dal greco sun e ballein, “gettare insieme” ), è chiaro che l’obiettivo stesso ha valore simbolico. I modi per farlo, le esperienze dell’associazione negli ultimi 20 anni, sono stati molti, senza pretese eccessive e su piccola scala.
Esplorare vicende umane grazie alle arti visive ed aiutare nel frattempo qualcuno a viver meglio – a volte, a sopravvivere, di fronte a dure necessità, oltre che agli enigmi e alle sfide dell’esistenza – è stato e rimane anche un modo personale di dar senso all’esistenza, abitando in me e in alcuni amici sia l’amore per l’arte che il desidero di aiutare concretamente esseri umani. Non c’è mai stata la pretesa che questa fosse un’idea totalmente nuova, né che in molti vi aderissero.
In vent’anni si sono verificate di fatto più defezioni che adesioni. Sin dall’inizio, del resto, siamo rimasti consapevoli che un grande successo sarebbe stato improbabile in tempi brevi, a dispetto del fatto che numerose iniziative d’intento benefico sono ovunque promosse da molto tempo nel mondo, da Enti pubblici e privati mediante le arti visive. Ma la consapevolezza delle difficoltà non era motivo per rinunciare, piuttosto un motivo per insistere, con pazienza.
Mi soffermerò ora su un aspetto dell’arte che si tende a sottovalutare, a considerare poco, pur essendo a mio parere un aspetto importante in tutte le culture umane. Il dono, che non è la stessa cosa della beneficenza. Le opere sono definite “beni semiofori” in economia dell’arte ( chi voglia approfondire può confrontarsi, ad esempio, con quasi tutti i testi di Walter Santagata: una ricca bibliografia tematica sui beni semiofori è comunque agevolmente rintracciabile in rete).
I beni semiofori sono oggetti con una duplice natura: semiofori vuol dire infatti che un’opera è, contemporaneamente, un oggetto materiale ed un vettore di simboli. In quanto oggetti materiali, quadri sculture e altro sono passibili di compravendita; in quanto vettore di simboli, il loro valore è del tutto diverso da quello monetizzabile, il numero di euro di una vendita non dicono nulla del valore simbolico di un’opera. Si tratta con i simboli di un insieme di valori archetipici, da cui in realtà, consciamente o meno, è difficile prescindere, sia in termini antropologici che in termini di psicologia del profondo. Per questo credo che la riscoperta del valore dell’arte sia una strada necessaria per mantenere, o ritrovare, individualmente e socialmente, un equilibrio mentale, particolarmente in questi tempi di follìa.
La considerazione più importante riguardo ai vettori di simboli è che in tutte le culture umane, nelle primitive come in quelle attuali post-moderne, in crisi e in rapida globale trasformazione, secondo una prospettiva antropologica il dono di oggetti ha un enorme significato e regola gli scambi tra gruppi in modo alternativo e complementare, rispetto a come possa regolarlo il mercato.
Questa considerazione non ha a che vedere con il (comprensibile, frequente) disgusto per il mercato globale, per la prepotenza e i non rari crimini delle multinazionali, per la mercificazione disumanizzante di tutti gli oggetti e servizi, che caratterizza le società globalizzate. Il disgusto a mio parere è ovvio, ma a maggior ragione se è forte, non deve impedire di cogliere, anche nella contemporaneità globalizzata, l’esistenza di scambi di valore non economici. Lo stesso web, e alcune sue emanazioni importanti (come esempio semplice basti pensare a wikipedia), devono il successo alla diffusione di attività gratuite.
Inoltre, si può cogliere indipendentemente da considerazioni morali che la monetizzazione di tutto rende tutti – clamorosamente, in campo artistico – sempre meno interessati e via via meno capaci di cogliere il valore simbolico di qualsiasi oggetto, o gesto artistico. Si rischia l’omologazione, quando il valore di un’immagine invece è potenzialmente sempre personale, inevitabilmente diverso secondo il vissuto e le sensibilità di ciascuno.
Infine (trattandosi di articoli in pillole, limito accenni ai punti salienti), ci sono buoni motivi per desiderare che l’arte resti anche solidale a sé stessa, che non dimentichi e svilisca il proprio carattere fondamentale, appunto simbolico. C’è da sperare l’arte stessa, che a dispetto del mercato e di mode vacue bellezza e giustizia rendano il pubblico globale anzi sempre più capace di apprezzare opere di valore a prescindere dal loro possesso e dallo scambio meramente commerciale – idee già sostenute, in modo convincente in Italia da molti artisti ( ad esempio da Enrico Baj, si veda il suo libro “Ecologia dell’arte”, Rizzoli 1989).
La riflessione sulla solidarietà è in realtà più ampia e complessa, e sembra condiviso da tutti gli amici del Consiglio associativo che in 20 anni il rapporto del cittadino europeo medio con la solidarietà sia cambiato – un altro articolo breve e altri articoli riprenderanno l’argomento.
Per il piccolo contributo dato al tema dall’associazione, si veda il documento di riferimento e regolamento interno a cui ci si è attenuti dalla sua fondazione, di imminente pubblicazione.