L’Arte Cos’è? Le Arti Cosa e Quante Sono?
Parte 1
Fragili proteste mute. Una riflessione sull’arte e non solo.
“L’arte è definibile come l’uso di materiali per esprimere percezioni coscienti’
Franz Boas, in “L’arte dei primitivi”, Bollati Boringhieri, edizione italiana 1982
“La cultura può essere definita come la totalità delle reazioni ed attività intellettuali e fisiche che caratterizzano il comportamento di un gruppo sociale … in relazione al proprio ambiente naturale, ad altri gruppi, ai membri del gruppo stesso, nonché di ogni individuo con sé stesso … Essa non si riduce tuttavia alla semplice enumerazione di questi vari aspetti della vita; essa è qualcosa di più, perché i suoi elementi non sono indipendenti ma possiedono una struttura.
Le attività elencate non costituiscono affatto una prerogativa dell’uomo, dal momento che la vita degli animali è anch’essa regolata dalle loro relazioni … “
Franz Boas (antropologo, 1858-1942), citato in ‘Il concetto di cultura’, Einaudi 1970
C’è una news che ha dominato per giorni nel 2022, e mi pare sia stata una delle poche occasioni dell’anno per riflettere sul concetto di ‘Arte’.
In realtà la parola e il concetto stesso, generale, arte, è bistrattato ed eluso, non sembra scalfire il linguaggio corrente o l’opinione pubblica che si faccia un uso superficiale, per non dire fuorviante e stupido, della parola.
Si è del tutto abituati alla condizione che l’arte sia abusata per esaltarla e spingerla verso la religione, o di contro abusata per deprimerla e relegarla il più lontano possibile dalla scienza.
La news di cui ho accennato è diventata presto ‘virale’, e riguarda l’innocua performance – una specie di performance d’arte concettuale. E’ il gesto che ha fatto un po’ di scandalo, polemico, di contestazione, fra etica ed estetica, efficacissima in termini di pubblicità e probabilmente non priva di calcolo e tornaconti economici per qualche azienda. Riguarda la presunta ‘profanazione’ di quadri ‘famosi’ gettandovi ‘sopra’ liquido colorato, ben protetti in realtà i quadri da vetri doppi o tripli in alcuni prestigiosi musei occidentali.
Parrebbe dall’enorme successo della diffusione reiterata della news, che questa vicenda di pseudo-vandalismo, o di vandalismo minimalista, vada visitata come quanto di meglio si possa affermare oggi sulle arti visive e sulle performance, suscitando articoli su quotidiani e periodici.
A mio parere la vicenda è di scarso interesse per le arti visive in senso stretto, ma apre una breccia di riflessione sulle vie mediatiche attuali delle proteste e denunce sociali – che in questo come in molti altri casi, secondo me son giuste; ed ha in realtà soprattutto a che vedere col ben tristo sistema su cui esse stesse si reggono.
La news dimostra che ci si lascia distrarre e imbarazzare volentieri da poco, e non pare interessi a nessuno ripensare alla diversissima sostanza culturale tra il lavoro di fare arte, e il lavoro – simulato, durante la performance – di ‘svergognarla’, di fingere di danneggiarla per esprimere una protesta muta, un qualche tipo di critica. Muta perché l’argomento di chi protesta non è del tutto chiaro, e chiunque rischia di fraintenderlo, con poco sforzo mediatico per deviare l’attenzione su dettagli.
A parte questo, ripeto, io condivido quel che muove e sostiene il gesto di protesta, se è l’amore per l’ambiente, la preoccupazione per il futuro, il più che ovvio disagio di molti giovani – e perché no, anche di molti meno giovani e vecchi – per l’incerto destino della specie e della biosfera.
Penso con tutti i disagiati da ciò che bisognerebbe parlare con molta più franchezza dell’assurdo obbrobrio di lusso che è dato dal sistema mercato dell’arte contemporanea, o dell’arte visiva in genere.
Questo sistema malato di ricchezza, dispendioso, di cui hanno ben scritto sia Francesco Poli che Ugo Nespolo, da Sally … e molti altri; andrebbe sempre più rivisto, per quanto noioso sia parlare di QA. E quotidianamente confrontato con il permanere di interi popoli in proibitive condizioni di povertà estrema, alle soglie del terzo millennio. Il sistema dell’arte potrebbe smettere di tradire i valori culturali dei popoli minori, restituire realmente opere agli africani ad esempio, come volle dichiarare Macron qualche anno fa, ma soprattutto consentire trasparenza ed accesso a comprensione migliore del sistema mercato, estremamente opaco, rinnovandolo.
Ma qui di una diversità sostanziale mi voglio occupare. Se infatti come vado sostenendo in altri articoli, Guerra è l’anti-arte, allora ‘Arte’ cos’è? Meglio tentare di chiarirlo, a maggior ragione se tutte le arti insieme è auspicabile che si contrappongano alle distruttività come essenza della guerra.
Non ne so molto di arti. Ve n’è un così grande numero, che è indubbiamente rarissimo che qualcuno possa dire di saperne.
Non ho grandi titoli a scriverne. Esser medico, e anche un po’ pittore e impastatore d’argilla da oltre 40 anni non significa altro che una minima, personale testimonianza ed esperienza. Non scrivo perché ho qualche titolo a farlo, non ne ho. Chi ne avrebbe a sufficienza per farsi ascoltare oggi, su un tema così vasto? E sarebbe un criterio per non rifletterci, d’altra parte? Scrivo per l’urgenza di chiarirmi che mi imperversa. L’arte è oltre che un termine di uso comunissimo in innumerevoli campi, è una dimensione che si abita all’inizio senza sapere, ho avuto in molti anni indizi che così accade, e almeno nel mio caso, un barlume di consapevolezza filosofica viene dopo, ammesso che sia arrivato, il barlume.
Ha imperversato mesi questa urgenza di riflessione sulle arti, come mi è già accaduto in altre varie fasi della vita. Ha imperversato come al solito, con una sfilza di domande, e quest’ultima in corso in particolare è provocata da un gran numero di fattori personali e professionali.
Per semplificare e unificare l’urgenza mi pare faccia comodo considerare filosofia l’arte di fare o farsi domande – o ancor più semplicemente il pensare possibili risposte, unendo osservazione del mondo circostante della propria interiorità e logica. Un’arte anche la filosofia, dunque.
In particolare riguardo a cosa sia l’arte, a come si possa male definirla e confonderla con altro, so che esistono fiumi di filosofie o pseudo filosofie, alcune che vaneggiano scemenze su come sia difficile o addirittura impossibile definirla, altre che sostengono che ogni artista la può definire di volta in volta come gli pare e piace, liberamente. Se così fosse verrebbe quasi logico pensare che fare domande in ambito artistico non abbia ormai più nessuna importanza. Ognuno avrebbe diritto alla sua libera definizione di cosa sia arte? Balle.
Ognuno ha diritto di confondersi le idee come preferisce, abusando della propria libertà di pensiero, fino a impedirsi di capire anche le questioni più studiate, le risposte più semplici e convincenti, ma le culture umane preistoriche e primitive non hanno motivo di restare incomprese, come quelle attuali, rispetto alla fondamentale dimensione umana, onnipervasiva, del ‘fare arte’.
Le discipline antropologiche, per quanto non siano scienze esatte, sono un’opzione di comprensione e non una farneticazione obsoleta.
Ci sono un paio di cose semplici, ineludibili che almeno a me serve tener presente, più importanti di tanti fiumi di introduzioni critiche e di presentazioni prezzolate ad esposizioni d’arte contemporanea o antica.
Per le poche cose semplici che contano basti l’ottima, lapidaria frase, dell’artista Manuel Baldassare, artista italiano di gran valore, che dice in un suo libro, a corollario della splendida definizione di Boas:
Per fare arte, ci vuole anima.
Senza interiorità, ca va sens dire, non val la pena di tentar di fare gran che in arte, men che meno di provare a scrivere su cosa sia il fare arte e di esercitare pensiero critico, che spesso si gradisce di non attribuire agli artisti.
Pittori e scultori di oggi, innumerevoli quelli quotati e di fatto anche i praticanti, come me, son già stati definiti come epigoni di un mondo in estinzione, ma di questa profezia d’estinzione – discutibile come tutte le profezie, a cui trovo saggio rispondere sempre ‘non so, non è ancora detto’ – qui non mi interesso, a dispetto dell’avvenuta era robotica.
Comunque vada, l’interiorità salverà in qualche modo gli artisti e il loro fare.
Anche i robot e l’intelligenza artificiale sono sfide creative portate alla mente alla mano e all’interiorità umana: finché restano coscienti gli artisti, tutto il percepibile sia pur esso anche un nuovo orizzonte tecnologico, costituisce sfida e stimolo all’arte, è sempre stato così finora.
La libertà che coesiste con l’urgenza di esprimere impedirà che molte arti, date per perse, si estinguano; conterà in ogni caso ciò da cui l’urgenza poetica, come quella filosofico-letteraria, scaturisce. Un lapis non sarà mai obsoleto perché esiste photoshop, e se mai il lapis può diventare mezzo di rifacimento inutile in caso andasse persa la memoria che con matite su carta molti hanno realizzato miracoli di innovazione e di eccellenza tecnica, ieri, come molti secoli fa.
Cosa sia arte visiva mi son chiarito molto tempo fa e per quanto le mie opinioni siano del tutto provvisorie e non sia esperto di nulla, non ho trovato negli anni motivi per cambiare idea in proposito.
Ritengo si tratti sempre, più o meno consapevolmente, coll’Arte – con qualsiasi forma d’arte pura autentica – di avviare un percorso di cura, di solito personale. Aprire un sentiero o una pista individuale, ognuno la propria, di cui ognuno che la intraprenda liberamente si giova immediatamente, si può.
E’ questa una delle tre o quattro cose che rendono la vita degna d’essere vissuta, l’umano animale anomalo, eccezionale ma per certi versi deviato, alienato, fragile, forse persino malato, forse salvabile. Malato di cultura e di guerra, o se si preferisce malato per mano propria o anche per via di una coscienza propria, l’umano deve curarsi e il curarsi è trovare un senso , quanto meno un senso interno, o una pace nel proprio farsi, coll’esprimersi, vibrare in relazione col mondo e avvertire pur monologando le persistenza della possibilità del dialogo, con altri esseri senzienti, umani e non.
Credo che a chiunque, anche senza grandi competenze o talenti particolari, faccia un gran bene fare un percorso artistico, quale sia o meglio quale divenga cammin facendo. Chiunque lo abbia mai fatto e lo faccia si accorge subito, fugacemente o più persistentemente – interrompendosi o mai finendo, a seconda del temperamento, del tempo dedicato e di altri fattori – del benessere psicofisico che ne deriva. E delle domande che affiorano alla soglia della coscienza dopo che l’inconscio abbia partecipato al processo del fare scevro da altri fini che non siano il fare puro, proprio dell’arte.
Io ho iniziato da ragazzo, per istinto ed imitazione, se si preferisce per imprinting come le oche di Konrad Lorenz, ed è stata una gran fortuna, che prosegue. Iniziar da giovani è meglio. Basta qualche sforzo reiterato per farne abitudine, insieme vizio e disciplina, insomma quotidiano lavorio quanto meno mentale e, ogniqualvolta possibile, lavoro reale. Il mio lavoro non può mai trascurare il diffuso disagio psicologico globale, oggi, per prendere e uscire decisamente dalle convenzioni, incluse quelle che fanno distinzioni inutili: fra saggistica e letteratura, e – dentro la letteratura – fra letteratura, prosastica, retorica e poesia; occorre infatti secondo me prima di tutto superare non solo le accademie, ma i confini labili tra discipline e culture, segnati dalla perdita del coraggio di leggere e di discutere in pubblico in presenza, ad alta voce. E nel caso della poesia si sa, si scribacchia, si tentano espressioni che magari non riusciranno, allora si ritenta. Tentare arte è l’esercizio quotidiano, spesso tutt’altro che coronato da successo, tuttavia necessario e comunque capace di sedimentare nel creativo che abita in ciascun essere umano, più spesso inconsapevolmente, e quasi mai del tutto consapevolmente.
Collo scrivere, col disegnare, dipingere, musicare, modellare, fotografare filmare e con molto altro, si imitano e talvolta si generano nuove forme, inaspettatamente. Forme costruiscono immagini, e le immagini hanno riverberi nell’anima, nella psiche. Le forme in desiderio di rinnovamento, reggono le arti – lente o veloci, arcaiche o novelle che siano quelle scelte, per esprimerci. Oggi questo processo mentale e fisico (anche il solo battere tasti su un piano o su un pc è fisico) con riferimento archetipico è ancora ineludibile, perché inscritto nella interiorità umana, ma si va trasformando e contemporaneamente un poco perdendo. Tutti possono fare arti audiovisive e letterarie, ma non è più ben chiaro di cosa chi fa poesie o dipinge diventa epigono, massificato ed omologato. Non è facile riuscire intuire dove si annidi in mezzo a reiterazioni e copia-incolla qualche variante capace di innovare, di far emergere da multi stratificazioni di collage cose ma viste precedentemente.
Confondiamo questi percorsi, ricerche, il tentare di fare arte con altro, col passivo e superficiale ricorso alle tecnologie, alle intelligenze artificiali, ed in quanto tale – in quanto passivo e superficiale – corriamo il rischio di perdere di vista il bene comune umano del praticare liberamente creatività avendo memorizzato quanto basta di forme note in precedenza.
Gli epigoni si contrappongono al compromesso e a questa trasformazione corrotta della capacità di mettere in gioco costruttivamente gli impulsi creativi direttamente, brevi manu. Per questo, personalmente continuo a prediligere le arti lente, le arti date per perse ed estinte, le arti analogiche non digitali meno facilmente riproducibili come identiche, quindi controcorrente, in un mondo sempre più veloce, innaturale, anti-artigianale e improprio, ossia letteralmente inappropriato alla misura umana dell’interiorità e del dar corpo a personali estasi e tormenti.
Uno degli elementi trasformativi e fragili della questione delle arti – e delle guerre – è anche il linguaggio verbale, seme della guerra esattamente come della poesia e del dialogo: il linguaggio che so porta attraverso l’astrazione ambivalenza insita nelle parole, in ogni parola; ragion per cui la poesia è la più fragile delle arti, per non dire forse una meta-arte, un ponte di collegamento non per forza solo didascalico, ma anche analogico e musicale, col ragionamento, quindi con filosofia psicologia e scienza.
Insieme traduttrice e potenziale corruttrice, oltre che generatrice di forme, è la poesia.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
- Franz Boas, in “L’arte dei primitivi”, Bollati Boringhieri, edizione italiana 1982;
- AAVV ‘Il concetto di cultura’, Einaudi 1970;
- G Dorfles Discorso tecnico delle arti, riedizione 2003;
- S Zecchi L’artista armato contro i crimini della modernità, Oscar Mondadori 1999;
- Ai Wei Wei Weiweismi, Einaudi 2013.
tratto da un libro inedito, prossimo a stampa in n. limitato di copie, intitolato “Arti contro le guerre”
Libreria ‘Al Segno‘ in via campo Marzio, 27, a Sacile (PN)
