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L’arte sopravvivrà alle rovine proprie o altrui, finché ci sarà intrazione.

Commento ad un libro di Anselm Kiefer.

“ E’ proprio attraverso decomposizioni e bonifiche, resistenze e annientamenti … che l’arte irrompe nel mondo… proprio come i materiali dell’arte, così gli esseri umani conservano nelle coscienze e soprattutto nelle cellule il ricordo … si può cogliere un esperimento in atto, un tentativo di verifica riguardo all’arte e alla sua capacità di superamento delle proprie rovine – stavolta prodotte dal susseguirsi di parole e ascolti, … dalla parola alla scrittura e dal testo alla traduzione…“

Gabriele Guercio Perché l’arte sopravvivrà alle sue rovine? Introduzione al libro di Kiefer, pag.13-14 nell’edizione italiana, Feltrinelli 2018

“ Vi dirò subito che non esiste una definizione di arte. Ogni tentativo di definizione si sgretola non appena viene in contatto col suo enunciato, proprio come accade per l’arte, che non smette di oscillare tra perdita e rinascita. Non è mai là dove ci aspettiamo, dove speriamo di coglierla …”

 Anselm KieferL’arte sopravvivrà alle sue rovine pag.19, ed.italiana Feltrinelli 2018

“Levi-Strauss ha intuito … l’analogia fra il ricordo e la rovina … “

Marc Augé Rovine e macerie. Il senso del tempo Bollati Boringhieri, Torino 2004

Il grande pittore/scultore tedesco Anselm Kiefer provoca ri-pensamenti con i suoi scritti, oltre che colle sue opere.

Una prerogativa insostituibile dell’arte è di sovvertire ordini costituiti, così come atteggiamenti pre-confezionati, e questo a mio parere è bene.

La straordinaria mostra di Kiefer a Palazzo Ducale in Venezia nel 2022, che ho avuto la fortuna di vedere insieme all’amico e pittore Gerardo Lunatici, prorogata fino al 6 gennaio 2023, ha un titolo significativo, che rinvia direttamente agli scritti del filosofo veneziano Andrea Emo – una Persona schiva, coerente, eccentrica, il cui pensiero fu scoperto solo post mortem.

Il titolo della mostra è:
Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce.

Anselm Kiefer tenne un ciclo di lezioni con forti implicazioni filosofiche al Collège de France, il cui motto è ‘il sapere in divenire’ tra il 2010 e il 2011, da cui è stato tratto il libro intitolato ‘L’arte sopravviverà alle sue rovine’ (Feltrinelli 2018). Dedico a Lui e al suo libro, per me pieno di spunti creativi, le seguenti riflessioni.

Una premessa è che il mio sapere è scarso su qualsiasi cosa, le mie opinioni sono ipotesi provvisorie, anche se alcune le mantengo ormai da decenni: ma condivido in pieno il principio socratico e gandhiano che nessun sapere, ammesso esista, possa ragionevolmente ritenersi definitivo. Un corollario etico è che la filosofia debba liberarsi dal fare profezie o pretendere di capire il futuro o il destino individuale e collettivo degli esseri senzienti; un corollario ironico è che a prender troppo sul serio sé stessi e certa teorizzazione filosofica fumosa si rischia forte di sbagliare.

In proposito è paradigmatico il giudizio che Artur Schopenauer dette su Friedrich Hegel : … un cialtrone, un parolaio, un sofista al soldo dell’imperatore, … un falso profeta secondo quanto riportò Karl Popper (1949). Hegel contribui a produrre il nazifascismo, inclusa la teoria dell’arte nazista – cose con le quali, a fronte dell’olocausto degli ebrei, della 2 guerra mondiale e di altro, Italia, Germania, Europa e occidente devono certamente di nuovo, confrontarsi oggi. Gli esiti pratici di certe teorie, o visioni del mondo, vanno certamente ri pensati, per evitare ripetizioni di apocalissi.

Nutro più interesse per la pratica artistica, per il fare o tentar di farla, che per le teorie estetiche e metafisiche. Tuttavia, le implicazioni sottese alla pratica dell’artista tedesco sono stra-cariche di riferimenti a teorie filosofiche:  ho corso leggendo, il rischio di perder di vista l’idea fondamentale, della inalienabile natura delle opere d’arte, che salva Kiefer, e nel mio piccolo  anche me.

La natura inalienabile delle opere , di quelle riuscite (spesso si capisce molto dopo quali siano riuscite o no) è che sono i perenni testimoni, materiali e spirituali (se si preferisce culturali e psicologici, nel senso descritto da Carl Gustav Jung e da Eric Neumann) delle tensioni irrisolte tra stati di fatto e idealità del dominio empirico (Gabriele Guercio).
Le opere d’arte hanno ciascuna una vita e una storia propria, evocano con la loro poesia nel cuore degli esseri senzienti tensione tra ‘ come vorremmo il mondo’ e come il mondo è ridotto in realta:. Gli umani lo han ridotto male, producendo rovine di ogni tipo: il perenne distanziamento tra bellezza dei viventi malattia e loro caducità, è accentuato dal divario insanabile che l’uomo a volte promuove tra bellezza della biosfera nelle sue ipercomplesse / quasi del tutto incognite manifestazioni e la (in)giustizia, distruttività e crudeltà verso i viventi propri simili, e altrettanto verso viventi dissimili – animali, piante, batteri e virus, molti dei quali neanche conoscono.

Il libro di Kiefer parla poeticamente delle pratiche artistiche ed è, pertanto, più facilmente comprensibile dopo aver visto qualcuno dei lavori monumentali, di grande potenza e bellezza, che l’artista ha realizzato e allestito a Venezia.
Si comprende guardandoli come lo scultore e pittore proceda di solito – costruisce molte stratificazioni di materiali sulle proprie enormi  tele e tavole, in diverse fasi, in tempi diversi, con una straordinaria pazienza, costanza, energia creativa ed una dedizione assoluta al lavoro artistico. Costruisce immagini e teatri di rovine, anche se gli piace dire che è iconoclasta.

L’arte e la pratica artistica sono dimensione innanzitutto interiore, insostituibile dell’esistenza, non solo personale ma cosmica. Talmente totalizzante per alcuni da pensarla dimensione inconciliabile con la vita, o con la ‘realtà’, di cui Kiefer dice di fidarsi poco, mentre dell’arte non può che fidarsi molto perché senza di essa si sente perduto.

In buona parte mi ritrovo nel suo modo di pensare e procedere. Nella realizzazione delle opere, anche per me certi lavori possono sedimentare anni, deteriorarsi/cambiare nel tempo prima che mi sia chiaro come proseguire e prima che riprenda fasi di lavoro. Ho sempre sospettato che un quadro o una scultura attraversino fasi di espansione e contrazione, nuovi cicli gestazionali, indefinitamente. Non c’è una fine obbligatoria, di un quadro o una scultura, ma oltre possibilità di punti di equilibrio poetico. In un prossimo articolo racconterò la curiosa storia di un ri-restauro, forse non l’ultimo, trasformativo di una scultura (other side of Rondanini), e del suo significato.

Non solo il tempo è un grande scultore (M.Yourcenar), ma l’arte stessa, impone tempi propri ‘fuori dal tempo’ per ri-apparire, per le proprie incessanti epifanie.

Per altri versi, teorici, tuttavia, non mi trovo negli scritti di Kiefer. Ci si perde, come in quelli di Jean Genet, e dis-perdere il lettore credo faccia parte della sostanza, se non di uno degli obiettivi consci di certi passaggi, anche pieni di lirismo; in ogni caso, perdersi rende bene la dedizione al proprio demone creativo, irrinunciabile per fare arte. Stigmatizzare il procedere anarchico, analogico e intuitivo, necessario in arte, svela la distanza del fare ed essere artisti puri dai mestieri comuni, dalla vita sociale, dalle convenzioni, alle quali molti artisti rinunciano volentieri. Coloro che fra gli artisti non vi rinunciano che il minimo necessario, hanno più capacità di adattamento, di pacato sdoppiamento, rispetto alle esigenze del proprio demone e quelle proprie della ‘vita’, in società o in famiglia.

Che arte e ‘vita’  siano poco conciliabili, per molti versi è vero, e coerente con una visione del mondo di necessità fantastica/fantasmatica e quindi di profondità creativa. Tuttavia, non credo sia obbligatorio per l’artista un isolamento perenne: ci sono vite di artisti perfettamente inquadrate e convenzionali, a dispetto delle loro opere. E del resto, non è l’apparenza che descrive la natura effettiva, alchemica, di quel che si fa. Non ritengo banale che un libro recente sul paradosso della bontà ( Richard Wrangham edizione italiana 2019) stigmatizzi la grande efficienza e capacità collaborativa che venne profusa nel realizzare l’incubo dell’olocausto nazista, come l’aspetto violento che delle società umane ancora non è ben compreso, determinante alla genesi dei fatti sociali più pericolosi e distruttivi.
Personalmente non credo che l’arte stia fuori dalla realtà o dalla vita, né in contrapposizione piuttosto è l’imperscrutabile ed inavvertibile/invisibile modo di star dentro alla realtà, dell’arte, che va indagato.
Torno all’inizio del libro e alle prime parole che Kiefer ha pronunciato in conferenza per introdurre le proprie lezioni, il proprio poetico viaggio nelle vicende e nelle ragioni della sua Arte: al suo rifiuto di qualsiasi definizione dell’arte stessa. L’arte sarebbe indefinibile? Personalmente non condivido.

In generale, non condivido il principio di evitare la definizione di ciò di cui si parla, per quanto difficile e problematico possa essere tentare di dare una definizione a volte. Nel caso dell’arte in particolare, non condivido di lasciare indefinita la questione, semplicemente perché si fa torto a chi ha pensato e lavorato prima di me quanto basta a risolvere, almeno in parte, la questione su cosa sia arte.

Aggiungo una riflessione/digressione su quanto per certi versi pure forse non condivido. In pittura/scultura, anche per ragioni pratiche ed ecologiche, non ritengo obbligatorie grandi tele e grandi volumi, pur suggestivi avvolgenti e d’effetto: seguo una considerazione semplice che fu di Henry Moore, per il quale la ricerca – la scoperta – in scultura, non sta nell’effetto spettacolare delle dimensioni ma nel rapporto e nelle proporzioni tra certe forme – tra strutture/volumi, e superfici/tensioni superficiali e rapporti di luci ed energie, alchimie incluse.

Non so come la pensi Kiefer ma è evidente in Lui, e in molti artisti contemporanei, che il gigantismo sembri prediletto – non so dire se sia una moda, quasi ‘un must’, legato alle necessità espositive.
Mi pare però di condividere tutto il resto – ovvero tutto il poco che intuisco, da quanto visto e letto, più volte, il libro di Kiefer.

E’ possibile che Anselm Kiefer si irriti per quel che ho scritto, o che trovi la definizione di arte data da Franz Boas (1) – quella alla quale mi riferisco sempre – insoddisfacente ed evasiva, rispetto alla grandezza della dimensione artistica.
E’ vero, la definizione è evasiva. Lo è a mio parere quanto basta per unificare millenni di storia dell’arte; è probabile risulti evasiva in termini filosofici, esistenziali ed alchemico-metafisici. Ma è sufficientemente semplice, chiara, rispettosa della totale libertà di idee e delle suggestioni di cui l’arte si serve per trasformare la vita.  Trovo necessario che il pubblico non sia ulteriormente intimidito da quel che legge, a maggior ragione se è colpito da quel che vede, in campo artistico.
Le idee sull’arte van chiarite e discusse. Ci si confina in un’elitarismo o solipsismo che non ritengo obbligato, né auspicabile per tenere in vita/ operante nel mondo reale, cosa non scontata, l’arte stessa.

Anche una volta che si accetti una definizione, l’arte per natura propria e di chi la pratica, sfugge sistematicamente ai tentativi di limitarne le libertà e le necessità espressive. E resta un bene fragile che vive di ribellione e di distanza sociale, fugge le convenzioni, incluse quelle del linguaggio. E fa bene a fuggire perché le implicazioni dell’arte sono sempre state socialmente scomode, frequentemente – per non dire intrinsecamente, sistematicamente, invise al potere.

A parte quel che non mi trova d’accordo con Kiefer per via di Boas, il libro è di grande interesse ed è chiaro il perché l’arte tenda a sopravvivere alle proprie rovine: su questo Kiefer ha ragione in pieno, dal punto di vista storico-culturale / spirituale, e forse – non ne so molto – anche dal punto di vista alchemico-astrologico.

Tende a sopravvivere e risorgere perché non c’è niente di più antitetico all’arte – alla sua creatività e formatività – della distruttività Umana, della distruzione, di quanto cioè caratterizza ‘le rovine’. Niente è più stimolante per la creatività di quanto stia al suo polo opposto: distruggere, rovinare.
E’ nella natura stessa delle cose d’arte – che, una volta che certe opere siano state distrutte, sopravvivendo esseri senzienti creativi, la memoria di opere estinte, sia generativa di nuove forme artistiche. Ri-generativa fu la ri-scoperta dei classici greco-romani in Italia durante il rinascimento. È l’esempio più inflazionato, ma credo questo derivi dalla natura dell’arte, non della storia – storia che non è  determinabile a priori come sostenne Hegel.

Quanto alle rovine in generale, e all’oggi, giusto pensarci, perché siamo a buon punto: dopo i disastri dell’olocausto e delle atomiche nel XX secolo, la 3 guerra mondiale sparsa e la devastazione ambientale del XXI proseguono, hanno già prodotto quanto basta per rovinare tutto negli ultimi 100 anni. Ogni presente è una condizione senza precedenti, tuttavia oggi prossima letteralmente all’invivibile; gli esseri umani rischiano la sesta estinzione di massa con altre specie, la perdita quasi completa della biodiversità sulla terra. Anche se la devastazione ambientale si arrestasse del tutto in questo momento, e persino arretrasse un poco, le società umane avrebbero  enormi problemi di sopravvivenza da affrontare nei prossimi 100 anni, mentre è ragionevole ritenere che le specie viventi si riprenderebbero dopo l’estinzione di homo sapiens/necans. A loro spetterebbe l’occasione di rigenerare tutto, persino l’arte forse.
La rovina della biosfera in atto, immaginata negli scorsi decenni da molti artisti visivi, registi, autori di fantascienza e romanzieri, resta tragicamente distintiva dell’antropocene, era geologica appena iniziata e forse breve che vede le masse umane parte in causa.
A tutto questo l’arte sopravvivrà? Se sopravvivranno umani migliorati dal malpasso, artisti capaci di essere speranza, … o forse robot, o marziani, o altre specie animali  e vegetali dotate di intelligenza creativa, e ci sono vistose suggestioni che lo siano sempre state.
Se ci sono esseri in grado di proseguire la danza che le arti pure sanno muovere, cantando ogni volta più alto ad ogni strappo di veste mortale ( come suggerisce una nota poesia di GB Yeats ), la danza proseguirà.
La resilienza di nuove foreste, che sorgeranno su molte delle rovine di opere umane, e è immaginabile. Una buona idea credo sia immaginare una land art a lungo termine in cui l’intervento umano sia progettuale, rispettoso di ogni altro essere senziente e il meno possibile intrusivo, violento, ingombrante per la biosfera.

Anche per quanto appena scritto, quello che mi ha colpito di più, del ciclo di lezioni di Kiefer, riguarda la distanza che si ritiene l’arte abbia dal reale – dimensione che Kiefer dichiara di ritenere illusoria. Può essere.
La mia ipotesi, qui espressa, è che la realtà dell’arte e la realtà della vita siano tutt’uno, entrambe parimenti reali e parimenti illusorie, e strettamente per quanto invisibilmente  connesse. Gran merito aver ribadito il mistero della loro interazione (o meglio intra-azione), nel libro.
In ipotesi la vita stessa potrebbe esser definita nient’altro che la somma della realtà dell’arte di tutti gli esseri viventi e senzienti, inclusi non umani, nelle loro enorme e incompresa complessità. Con viventi in ogni caso ‘ad arte’ va ri-tentata una migliore comunicazione e migliori intra-azioni: questo termine è usato da James Bridle in ‘Modi di essere.
Forse trovando nuovi modi di essere, intercettando sulle proprie imperscrutabili strade poesia, bellezza, giustizia, risorgendo dalle proprie e anche dalle altrui rovine, proprio l’arte, sopravvivendo, salverà il mondo.

NOTE BIBLIOGRAFICHE 

  1. A. Kiefer, L’arte sopravviverà alle sue rovine, 2021;
  2. F. Boas L’arte dei primitivi Bollati Boringhieri 1980;
  3. G. Gentile La riforma della dialettica hegeliana, con un frammento inedito di B Spaventa, Sansoni, prima edizione Principato, 1913;
  4. T. W. Adorno, Dialettica negativa, Torino, Einaudi, 2004, p. 326;
  5. A. d’Avossa Joseph Beuys Difesa della natura, Skira 2001;
  6. K. Popper La società aperta e i suoi nemici, vol.I Platone totalitario; vol.II Hegel e Marx, falsi profeti, Armando editore 1969;
  7. K Poper La conoscenza e il problema corpo-mente, Il Mulino 1993;
  8. www.azioniparallele.it.
  9. Andrea Emo su Wikipedia;
  10. Anselm Kiefer, video e interviste in inglese e in tedesco su YouTube;

1 Secondo l’antropologo tedesco naturalizzato statunitense, Franz Boas, che studiò a lungo sul campo le culture primitive nord americane, “Arte è l’uso di materiali per esprimere percezioni coscienti” (1920); Franz Boas considerò l’arte parte fondante di ogni cultura; la distinse in modo semplice dall’artigianato in base a 2 criteri: a) eccellenza tecnica e/o b) capacità innovative. Questa definizione mi sembra ancora valida, applicabile anche alle nuove tecnologie digitali; una sfida che non invalida la definizione è posta dalle possibilità dell’intelligenza artificiale di realizzare opere d’arte; e un discorso a parte merita la questione dei falsi e falsari nell’arte visiva, ma la definizione di Boas è applicabile anche a tutti questi nuovi epifenomeni del sistema delle arti visive.

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