Le Crisi Che Attraversano il Mondo
Non c’è pace né giustizia. Magari uno straccio di tregua.
“Una giustizia globale si raggiungerà solo tramite sviluppi che dapprima accresceranno l’ingiustizia del mondo introducendo istituzioni efficaci ma illegittime.“
Thomas Nagel “E’ possibile una giustizia globale?”,
Editori La Terza, 1° edizione italiana 2009
“La nuova Ucraina ha la volontà politica di difendere l’Europa dall’aggressione russa e di impegnarsi in riforme strutturali radicali … deve ricevere assistenza adeguata dai suoi sostenitori. Altrimenti i risultati saranno deludenti e la speranza cederà il posto alla disperazione. … E’ anche ora che l’Unione Europea faccia autocritica …”
George Soros, estratti da Wake up, Europe,
in “The New York Review of Books”, 20 novembre 2014,
riportato a pg. 136 in “Democrazia! Elogio della società aperta”, Einaudi 2019
Un’intervista pubblicata su un settimanale moscovita in gennaio al segretario del consiglio di sicurezza della federazione Russa Nikolaj Platonovich Patrushev, è comparsa come articolo di Vitalij Tsepliaev, tradotto da Aleksej Larionov, sul quotidiano la Repubblica il giorno 11/01/2023.
L’esordio dell’intervista nella versione italiana è il seguente:
“Nikolaj Platonovich, come valuta la situazione nel mondo? E’ estremamente complessa e turbolenta. Crisi politico-militari, economiche, sociali e spirituali attraversano contemporaneamente molti Paesi in diverse regioni. …”
E’ una risposta indubbiamente intelligente, che è difficile non condividere. Mi sembra, in altre parole, che presa di per sé questa risposta offra a chiunque legga una descrizione, breve ma esatta, della situazione mondiale attuale. Anche altre risposte che seguono nell’articolo contengono accenni brevi ma condivisibili ai problemi globali in corso, con le loro implicazioni profonde; questo fa riflettere a dispetto di altre affermazioni meno condivisibili nell’intervista, alle quali accennerò nella parte finale del mio articolo.
E val la pena scrivere subito che nelle settimane successive altre affermazioni ufficiali indubbiamente importanti sono state e sono all’attenzione globale: la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di cattura per una serie lunga di gravi crimini contro Vladimir Putin, e la Cina ha presentato un proprio piano di pace in 12 punti, che a mio parere sono tutti intelligenti e, salvo uno, quello delle sanzioni, anche pienamente condivisibili da chiunque abbia a cuore la cessazione dei conflitti e delle sofferenze dovute alla guerra in molte parti del mondo.
E’ abbastanza evidente che la cessazione delle sanzioni economiche contro la Russia potrebbero cessare senza indurre squilibri nelle società aperte solo un giorno dopo un’intesa per la quale sarebbe necessaria una tregua, uno straccio di tregua per avviare trattative, che avrebbero comunque una elevata probabilità di lasciare più di un potente insoddisfatto.
Il presidente degli Stati Uniti ha reagito malissimo ad un documento che in realtà è una dichiarazione di principi formalmente molto equilibrata e conciliante, il che rende problematico un dialogo lontano dall’avviarsi, sostanzialmente impossibilitato dopo il 24/02/2022.
Piaccia o meno riflettere, come cittadini e come esseri senzienti, e ci sia o meno disponibilità al dialogo con l’attuale Russia post-sovietica da parte delle istituzioni e dei politici occidentali, credo importante non sottrarsi a quanto certe vie mediatiche offrono, come occasione di capire le culture e le strategie degli aggressori nel grave periodo che attraversiamo tutti.
Le questioni sollevate da Petrushev non sono propriamente geo-politiche anche se fanno parte delle battaglie mediatiche continue, e di sforzi diplomatici che è difficile conoscere come cittadini comunità; il sistema mediatico globale di per sé non favorisce un percorso dialogico – cioè due o più voci trasparenti in cerca di comprensione e intesa – su temi geopolitici, con nessuno, e quello tra capi di governi in conflitto sembra non esistere al di là di poche eccezioni rivelatrici dell’empasse irrisolto che prosegue.
Il dialogo, cioè più di un confronto: un percorso di solito duale, maieutico e trasformativo, è per lo più disdegnato dai media, anche quando tocchi questioni di molto minore importanza della guerra di aggressione Russa contro l’Ucraina.
Se oltretutto ‘la notizia di oggi serve soprattutto a dimenticare quella di ieri’, non resta molto di quanto dice uno o un altro potente a turno intervistato, e in tal modo l’opinione pubblica occidentale democratica subisce la superficie delle questioni, senza reagire alle crisi o almeno alla interpretazione dei fatti come potrebbe, con intelligenza e reale intento di pacificare.
E’ possibile che discutere i fatti bellici e i problemi globali in una dittatura non sia cosa troppo gradita. Ogni cittadino sotto dittatura in effetti di solito non si esprime: può pensare tra sé e sé qualsiasi cosa – almeno finché un microchip non gli venga impiantato nella diploe cranica – ma è invitato dalle circostanze a non discutere mai con qualcun altro su quel che pensa appena dubita o peggio dissente dal proprio governo, pena ricatti minacce torture violenze e morte. Il dialogo o la discussione sono proibiti in modi più o meno violenti in molti paesi: questo è motivo in più per ogni cittadino europeo a promuovere e partecipare a riflessione e dibattito, a quanti più dialoghi possibile, per via mediatica, anche con cittadini russi ed ucraini.
Per quanto mi riguarda scrivo perché voglio chiarirmi le idee, cosa sufficiente anche tra me e me, e lo farei in ogni caso su questo tema: a mio parere è poco chiaro quale sia la posizione post-sovietica relativa ai maggiori problemi globali.
La globalizzazione rende quasi impossibile, anche per i peggiori politici, sia in dittatura che in democrazia, in qualsiasi punto del pianeta, eludere qualche risposta in tempo reale, che presto risulta leggibile in forma virtuale quasi ovunque attraverso il web: benché questo non serva a un dialogo reale tra Persone, analisi ed interviste nel flusso continuo di notizie a volte lasciano segni inattesi, che consentono di cambiare la lettura dei fatti.
A proposito di segni diversi e inattesi, mi ha fatto riflettere dopo l‘intervista a Petrushev anche una analisi del 12 gennaio data da Anna Zafesova su radio Radicale: la giornalista ha segnalato con l’abituale chiarezza le difficoltà nell’applicazione di una ‘nuova’ legge in vigore in Russia, in base alla quale all’interno della federazione l’omosessualità si conferma come cosa sgradita, oscena, di cui sia assolutamente vietato parlare. Difficile anche solo per questa novità il lavoro aggiuntivo e discrezionale della censura di Stato da tempo operante in tutta la Russia.
La censura dell’omosessualità e il divieto persino al solo accennarvi, al solo uso del termine, è esteso per legge a tutti gli aspetti della vita sociale e culturale: le arti inevitabilmente ne saranno fortemente influenzate, in una virtualmente indefessa sorveglianza dei modi di essere, comportarsi, pensare: costoso dispendio di energie da parte di numerosi censori di Stato, e parecchi motivi di perplessità, per i cittadini tutti, non solo quelli omosessuali: non è chiaro, infatti, se oggi in Russia sia possibile ascoltare ad esempio Piotr Ilic Tchaikovski. E’ verosimile che si possa, senza mai dire né far sapere, però, che il grande compositore fosse omosessuale; analogamente, è ad esempio possibile che un libro di Oscar Wilde venga tradotto, distribuito, venduto e letto in lingua russa da qualcuno, purché non si sappia che Oscar Wilde fu a suo tempo addirittura processato, in Inghilterra, per omosessualità.
Si ritiene evidentemente che certi comportamenti sessuali – nell’era descritta acutamente da Luigi Zoja nel suo ultimo libro, 2022, del … declino del desiderio sessuale … , eclatante benché passato piuttosto sotto imbarazzato silenzio, soprattutto fra i giovani, ampie statistiche dimostrative in quasi tutti i Paesi del mondo per questo ‘nuovo’ fenomeno – vadano assoggettati in Russia a criteri di ‘moralità’ illiberali; e si ritiene evidentemente imperativo morale in Russia il tabù, l’intolleranza pressoché assoluta dell’omosessualità, in modo da renderla più facilmente imputabile all’Occidente depravato, forse. Questo insomma, in pienezza di gravi crimini di guerra, corrisponderebbe al prender distanza dai costumi e dai disvalori propri delle società aperte occidentali, dove non è l’orientamento sessuale a rendere un individuo degno di rispetto e accettazione o meno. Almeno si spera. Le perversioni sessuali e i crimini violenti sono altro dall’orientamento sessuale, ma una distinzione post-sovietica non pare oggi importante tra questi criteri.
L’intolleranza russa verso l’omosessualità somiglia a quella espressa dalle destre sovraniste presenti in molte democrazie occidentale compresa quella italiana, e sembra escludere l’esistenza in alcuni individui di una bisessualità, cioè di aspetti della sessualità sia anatomici che psicodinamici che vadano oltre la comoda classificazione in due soli ‘generi’ (si confronti al riguardo il libro di divulgazione scientifica scritto nel 2022 dall’immunologa Antonella Viola).
Sia per il contenuto dell’intervista a Petruscev, sia per quanto ascoltato alla radio, e quanto sopra accennato, rifletto qui su come si possa intendere la ‘questione morale’, o meglio l’etica, nella società post-sovietica (che pare perfino azzardato o semplicemente fuori luogo definire una società post-moderna), che conserva come tutte le società attuali nel proprio inconscio collettivo temi arcaici mai affrontabili a pieno, ormai globalmente e reciprocamente influenti tra i popoli.
Una questione morale è palesemente centrale nella visione politica russa attuale, e nelle sue scelte di comunicazione, o se si preferisce di retorica politica.
Secondo quanto affermato dal segretario consigliere di Putin. La superiorità morale della Russia fu un elemento importante anche nell’immediato dopoguerra, quando l’URSS rappresentava una realtà in cammino verso la realizzazione una società egualitaria. Che esista oggi globalmente una centralità della questione etica è evidente, ed è evidente anche dalle nostre parti, se gli ideali di democrazia sono ritenuti superiori moralmente – e io credo che lo siano: è giusto e urgente ricordare di fronte ad incalzanti crisi globali, cosa significhi democrazia e in che misura essa sia giustamente ritenuta una scelta politica non solo preferibile, ma eticamente migliore: la democrazia è quel sistema, da certi punti di vista pessimo (Come disse Winston Churchill), preferibile a tutti gli altri perché sostanzialmente nonviolento, ovvero il solo capace di mandare a casa un governo e farne un altro senza spargere sangue (cose di cui scrisse fra l’altro nel dopoguerra in modo molto convincente Karl Popper, anche ne ‘La Società aperta e i suoi nemici’).
Oggi è più che evidente e provato che le democrazie non siano affatto esenti da menzogne, da nascondimenti ipocriti, né da violenze, oltre che in grave crisi ovunque e da riformare. E’ difficile ma non impossibile che crimini e violazioni del diritto internazionale riguardino prima o poi non solo Paesi autocratici, ma anche gli Stati Uniti o la stessa Europa, perché le ingiustizie comincino a diminuire più equamente, e ci si possa vagamente avvicinare a quello che alcuni artisti osano chiamare verità, bellezza e giustizia.
Certo è che oggi nelle guerre in corso non c’è nulla di giusto, e che nella migliore ipotesi potrebbero firmarsi dei trattati di pace cominciando ad affermare per iscritto che non si tratterà di guerre né di paci giuste. Sarebbe un progresso per i principi ispiratori di transparency international e anche di no peace without justice.
La frase dell’intervista a Nikolaj Platonovic Patruisev che invita una riflessione sulla questione della morale è questa:
“Lo Stato americano … Le autorità americane, fuse con le grandi imprese, servono gli interessi delle multinazionali … il loro obiettivo è … sfruttamento globale guidato da un’élite di uomini d’affari che non si associano a nessuno Stato.
La constatazione più paradossale che mi sento di fare è che quasi ogni politico, in qualsiasi parte del mondo, probabilmente sottoscriverebbe, in linea di massima, l’affermazione di Patrushev: contro le multinazionali che mirano a sviluppare la società dei consumi, e in difesa dell’equilibrio tra valori morali e sviluppo socio-economico. Questo equilibrio, se non è un artificio retorico o un cinico sofisma, in termini etici e in linea di principio è ancor più condivisibile da quasi ogni cittadino al mondo. Tuttavia, la situazione ambientale globale, e le sfide climatiche e pandemiche sono talmente gravi che non è più possibile pensare ad una conciliabilità effettiva tra una cosa e l’altra. Ci si dovrà accontentare tanto più quanto le cose ambientali peggioreranno a soluzioni parziali e inique, pur di limitare i danni ambientali, notoriamente correlati alle guerre in atto. Sarebbe una vittoria morale prendere atto con trasparenza della gravità globale di problemi complessi, e comunicarlo a tutti, per primi i potenti del mondo. Perché è ora di cambiare rotta, scelte collaborative, ammesso che non sia troppo tardi per tutti. basti pensare che le collaborazioni internazionali rispetto ai temi dello scioglimento del permafrost siberiano sono sospese, come sanzione futura aggiuntiva.
Un equilibrio tra valori morali e sviluppo socioeconomico (posto che sia intuibile a quali valori morali ci si riferisce, e cosa si intenda per sviluppo socioeconomico; e posto che la traduzione di concetti dal russo in italiano resti fedele al pensiero di Pertushev) di questi tempi sembra perso in quasi ogni paese al mondo; se si ritiene priorità morale la responsabilità verso le giovani e future generazioni, è urgente cambiare radicalmente, drasticamente obiettivi di consumo e rivedere del tutto il modo in cui si descrive e misura lo sviluppo socio-economico.
In particolare le società opulente dovrebbero perseguire obiettivi diversi da quelli ritenuti ‘di sviluppo’ nel senso puramente economico del termine. Gli indicatori di sviluppo globale prioritari dovrebbero essere condivisi a livello globale, nell’ipotesi che sia pensabile una collaborazione globale in difesa dell’ambiente, risposta alla sfida climatica, controllo demografico dell’immigrazione e disarmo.
Senza una collaborazione sostanziale fra grandi potenze su questi problemi ci saranno solo inviluppi, non sviluppi e né le multinazionali né la specie homo sapiens-necans si salverà.
In proposito, la constatazione più dolorosa e terribile in me l’ha suscitata una delle risposte Di Nikolaj Platonovich Petrushev dopo il titolo dell’articolo in italiano: L’occidente vuole disintegrare la Russia, paese che non avrebbe alcun posto nella visione globale occidentale. In un mondo diviso, secondo Petrushev, nella visione occidentale, si dice,
… tra i cosiddetti Paesi sviluppati, il miliardo d’oro da un lato, e il resto dell’umanità, chiamato con disprezzo il terzo mondo [1], dall’altro, la Russia infastidisce, perché là dove le multinazionali mirano a sviluppare le società dei consumi, la Russia, invece, difende l’equilibrio tra valori morali e sviluppo socio-economico.
Ricordo bene, con un breve salto indietro nel tempo, argomentazioni critiche estese, fatte dopo un lungo excurus attraverso secoli di storia dell’est europeo, da Aleksandr Solgenicyn, nel suo libro/saggio La questione Russia alla fine del secolo XX, edizione italiana Einaudi 1995.
Molto di inerente l’etica è stato scritto da grandi scrittori Russi, grandi maestri anche per la cultura occidentale, da Tolstoj a Dostoevskj; ma lo scrittore dissidente ed esule Solgenicyn, che ebbe la moralità di denunciare violenze russe anche durante la 2 guerra mondiale e pagare di persona le sue affermazioni, di recente ovvero dopo la dissoluzione dell’URSS, fece affermazioni simili a quelle dell’attuale segretario della sicurezza russo.
Solgenicyn avvertì che in futuro la Russia sarà morale o non sarà. La sua percezione della sofferenza plurisecolare dei popoli russi, di quelli ucraini e di altri popoli euro-asiatici, è forse la stessa di Petrushev, e al contempo forse diversa: un esempio interessante di quanto si possa diversamente intendere una questione morale, in una medesima area geografico-culturale.
La mia personale opinione è che, per fortuna, ciascuno di noi può, se vuole, evitare di usare criteri differenti tra noi e gli altri, quando ci interessi una morale, un’etica condivisibile. Gli oligarchi di ogni Paese sono dediti a sfruttamenti dei propri simili, anche quelli russi, sia pure in stili, luoghi e modi diversi. E i costumi sessuali di un’area culturale possono restare diversi, reciprocamente rispettati in aree differenti, ma non dicono certo quanto basta per giudicare – cosa in effetti difficile – sulla moralità di una classe politica o un popolo.
E tuttavia, quel che valse per la Russia sec. Solgenicyn qualche anno fa, vale anche per l’occidente, e per il pianeta intero, oggi. O cambiamo tutti strada, riconoscendo quanto c’è di giusto persino nelle riflessioni di un cinico criminale di guerra come Putin, che ha suoi motivi ineludibili per non fidarsi, o ci estingueremo, tra le guerre a causa della complessiva incapacità di confronto e dialogo interumano. L’Europa potrebbe fare molto di più per non subire le retoriche post sovietiche e neo imperialiste filo putiniane, e per correggere i propri inutili disprezzi per una indispensabile e urgente tregua, che rinnovi L’Ucraina facendone un ponte neutrale europeo a garanzia di una pace necessaria, prima che giusta.
Nota 1
La denominazione ‘Terzo Mondo’ entrò nel linguaggio delle relazioni internazionali alla vigilia della conferenza di Bandung del 1955, per indicare i paesi dell’Asia, Africa e America Latina, appena usciti dalla soggezione coloniale oppure in lotta per il conseguimento dell’indipendenza. Questa denominazione è rimasta nell’uso corrente per designare l’insieme di tutti i paesi caratterizzati da un basso prodotto interno lordo pro capite, da una elevata crescita demografica e da una struttura produttiva fortemente dipendente dall’importazione di capitali e tecnologie dai paesi industrializzati; secondo l’enciclopedia Treccani questi paesi sono preferibilmente detti oggi paesi in via di sviluppo. Almeno inizialmente, tuttavia, le Nazioni del Primo Mondo potevano essere quelle più ricche aventi economie di mercato, mentre i paesi del Secondo Mondo erano quelli ad economia pianificata, come l’Unione Sovietica e la Cina. Per terzomondismo si intende un atteggiamento favorevole ai paesi in via di sviluppo, che può manifestarsi sotto forma di solidarietà politica, di sostegno economico, di accentuato interesse culturale ed umanitario. Con il termine terzomondismo si è indicato, negli anni 1960 e 1970, un orientamento politico, sviluppatosi soprattutto nell’ambito delle sinistre occidentali, di esplicito sostegno – verbale o effettivo – alle lotte di liberazione dal dominio coloniale o neo-coloniale, ai movimenti rivoluzionari operanti nei paesi in via di sviluppo ed anche ad alcuni Stati come l’unione Sovietica, Cuba e la Cina; pesi questi ultimi che in effetti appartenevano in base a questo schema classificativo discutibile, ed oggi palesemente obsoleto, al Secondo Mondo. Si parla anche ed ancora di un Quarto Mondo, che raggrupperebbe i paesi più poveri fra i paesi in via di sviluppo, per esempio Burkina Faso, Niger, Etiopia, Ciad, Tanzania, Bangladesh. (cfr. www.treccani.it e anche wikipedia.org)
“Straccio di Tregua” – scultura in terracotta e porcellana non smaltata e dipinta
Autore dott. Franco Galanti fondatore di Ar.So. Arte sobria e solidale.
La scultura, esposta presso la Libreria ‘Al Segno‘ in via campo Marzio, 27, a Sacile PN,
è in vendita in offerta libera (al miglior offerente)
e il ricavato sarà interamente devoluto a favore di Progetto Susan ODV.