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Ogni oggetto d’arte fa il proprio corso

Oggetti d’arte tra memoria ed oblio: 20 anni dopo la nascita di arte solidale.

“Abbiamo il diritto di chiedere dove vanno a finire le donazioni e il dovere di farlo nei confronti di chi vogliamo aiutare”

Valentina Furlanetto, “L’industria della carità”,
frase in evidenza a pagina 1 del libro, Edizioni chiare lettere, prima edizione gennaio 2013

“ Viceversa l’opera d’arte non ha utenti né consumo; dovrebbe avere veri amatori e intenditori d’arte, così come autentici mercanti, un mondo di favola oggi! … Posso dire che per me l’arte … appartenendo al mondo dello spirito, vive per sé stessa nel tempo. “

Virio Bresciani, sue riflessioni in presentazione della sua personale
“Il drammatico senso della natura in Virio Bresciani” – Corsico (MI), settembre 1990

Le due citazioni qui sopra possono apparire in effetti molto slegate, ma non ritengo lo siano, al contrario, ci sono buone ragioni per accostarle.

Così come si ha il diritto di sapere dove vadano a finire i soldi delle raccolte fondi, credo si abbia la curiosità di sapere dove vadano a finire certe opere d’arte, soprattutto oggi che – agli alti livelli, determinanti per il funzionamento del sistema mercato – il flusso di scambi di opere d’arte visiva è in gran parte sostenuto da speculazioni finanziarie, falsi e da trasferimenti di opere che restano chiuse in cavot di Banche e molto poco accessibili al pubblico.

Inoltre, vale la pena di far mente locale sulle difficoltà di artisti autentici in vita, nel caso che non si trovino, o si trovino troppo spesso contro il sistema mercato dell’arte. La storia poco conosciuta del grande pittore solitario toscano, Virio Bresciani, e quello che e lui stesso scrive alla presentazione di una sua mostra, mi ha convinto ancor di più che è stato giusto e importante esporre alcune sue opere a CONTROCANTO, come parte del pool di opere di arte solidale e a favore di progetto Susan. Purtroppo non sono riuscito a contattare nessuno in Toscana, pare, che l’abbia conosciuto di persona, – lo conobbi quand’ero un ragazzo e certamente il suo modo di dipingere, all’inizio in consapevolmente hanno influenzato molto il mio. Del tutto in generale, queste influenze tra artisti hanno a mio parere notevole interesse, perché nel bene e nel male del fare artistico costituiscono analogie culturali proprie di un modo di essere di intere generazioni e popoli di artisti di storici e di appassionati d’arte. Le opere di fatto dialogano fra loro nel tempo, e più che di progresso in arte è (si confronti Ernst Gombrich, e Avigdor Arikha, al riguardo) è giusto parlare di cicli, corsi e ricorsi (il concetto di ciclicità della cultura risale a GianBattista Vico). Pertanto, faccio qualche riflessione in tema.

1) Credo che si debba accettare il fatto che buone iniziative e buone realizzazioni di solidarietà e buone, anche eccezionali opere d’arte, restino a volte nascoste e sconosciute, anche a lungo.

Nel caso della pittura e delle arti visive in genere, eccellenti pittori e illustratori e le loro opere sono rimaste poco apprezzate o peggio del tutto sconosciute a lungo. E’ un paradigma della storia dell’arte e della modernità stessa che l’arte autentica venga scoperta e apprezzata post-mortem. In particolare in Italia questa considerazione resta valida per tutto il XX secolo, periodo di trasformazioni e svilimenti del concetto di bello, è un motivo in più per mantenere attenzione almeno ad alcuni artisti, e per favorire nel XXI secolo una nuova, necessaria solidarietà tra artisti.

Gli artisti hanno come tutti gli altri esseri viventi necessità di nutrirsi … e di campare, per cui esattamente come molti

“non artisti” a volte faticano a sopravvivere decentemente: motivo in più per rilanciare le attività di arte solidale, senza rinunciare all’attenzione verso la povertà in generale, gli sfruttamenti, le violazioni di diritti umani che albergano da sempre in Africa ma in realtà in vario grado ancora nel XXI secolo in ogni parte del mondo. A mio parere la denuncia delle disumanità è tutt’uno con l’arte, che in molti artisti fu è e sarà declinata come forma di denuncia ed impegno sociale.

Per quanto appena sopra scritto, una delle faccende più interessanti per me è seguire – o, più spesso, ricostruire – il percorso compiuto nel tempo dalle opere d’arte visiva, quelle lente. Ogni volta che posso seguo quello che successe e succede materialmente a famose sculture, dipinti, disegni, stampe fotografiche, pezzi unici o multipli, sia nelle fasi finali della loro realizzazione, sia nelle varie fasi successive – allestimento-disinstallazione di eventi espositivi, sia dopo, quando a volte il tempo pare fermarsi, mentre collocazioni incluse le vendite, segnano significativamente il percorso di un’opera. La stessa attenzione è inevitabile e psicologicamente illuminante, per le mie realizzazioni. Il racconto del percorso di un’opera mi insegna sempre qualcosa, oltre ad ispirare talvolta nuove opere.

Nel corso dei 20 anni di vita associativa le opere di Ar.So. Non sono state soltanto donate, o vendute in beneficenza, ma nel corso della loro custodia e manutenzione è successo anche altro. Ogni opera, come tutti gli oggetti materiali, ha seguito un suo percorso: e le opere vengono più o meno sempre impacchettate e trasferite quando un’esposizione si conclude; in queste fasi o dopo, alcune opere di arso si sono letteralmente “perse in giro”, per fortuna pochissime; alcune altre sono state perfino probabilmente rubate.

La maggior parte, durante la loro custodia paziente e credo sempre gradita da parte di soci, si è ben conservata, ma alcune sculture si sono lievemente deteriorate, nessuna per ora in modo significativo e nessuna in modo irreparabile. Il semplice passare nel tempo tende a deteriorare oggetti in legno o in terracotta, così come tende a farci invecchiare in termini biologici, non necessariamente in termini culturali. Alcune sculture sono state più volte patinate, alcune restaurate. Anche per questo, e per limitare occupazione di spazi, Controcanto segna la mia intenzione di proseguire realizzando sculture piccole, e quadro grandi, rispetto a quanto da me prodotto finora.

Come scrive Marguerite Yourcenar il tempo è un grande scultore, nel bene e nel male: esiste certamente un problema di manutenzione di opere in comproprietà, che tra i soci di Ar.So. stiamo riconsiderando, alla luce di nuove possibilità di collocazione che forse si profileranno.

Anche per questi motivi, durante la gestazione di questa esperienza espositiva, mentre maturavano le idee chiave dell’esposizione, mi sono arrangiato a regalare qualche scultura e un paio di quadri, e in previsione di una maggiore attenzione a piccoli formati ho realizzato un nuovo calco in creta del vecchissimo bassorilievo in piombo, oggi modificato a sbalzo, esposto come apri-pista dell’idea di un’arte NFV (Never Fungible Virtually) in polemica con la nuova speculazione artistica NTF (Not Fungible Token). Ne riscriverò e aggiornerò gli interessati sul sito sul NFV.

Resta fermo il fatto che tutte le opere di Ar,So., di cui i soci sono comproprietari, dovunque collocate temporaneamente, saranno sempre destinabili a privati generosi che vogliano acquisirle con un’offerta congrua per Progetto Susan, e sempre donabili a favore di Progetto Susan. Le opere di Ar.So. Nascono sempre come “tifose” dei continui progetti con parsimonia efficienza ed ostinazione realizzati dagli Amici Sinceri di Susan.

2) Il secondo motivo per rilanciare l’associazione è legato a un certo numero di opere disponibili per collocazioni per tempi lunghi, come si dice in permanenza, in spazi pubblici o privati. Controcanto mi ha definitivamente convinto che alcune scelte espositive di quadri e sculture per così dire parsimoniose, alle quali ci siamo allenati per anni, rendono gli eventi realizzabili senza spese eccessive, in modo più sobrio rispetto ad altri eventi culturali, ma alcune proposte di donazioni le ho già fatte, attendo risposte.

3) Per la cronaca, due numeri. Negli spazi dell’atelier “Indaco” di Ilaria Bas, in 24 ore sono state collocate una settantina di opere direttamente a portata di sguardo, in 2 sole stanze; e in aggiunta, sono stati “more solito” a disposizione di un piccolo pubblico di amici e conoscenti almeno 4 raccoglitori (book) con numerosi disegni, documenti e dipinti, più altri disegni e dipinti di formato più grande posti su 2 tavoli, per un totale di almeno 300 fogli catalogabili come oggetti d’arte.

In totale oltre 370 ‘pezzi’. Alcuni di poco valore commerciale, ma qualcuno a mio parere certamente di valore artistico, oltre che documentale, e per più di qualcuno anche di valore psicologico ed affettivo. Se ci si attiene a questo mero calcolo, 370 opere in un’esposizione allestita in 24 ore è molto di più della più grande collettiva realizzata da Ar.So., che fu “Outsiderlands”, esattamente 20 anni fa, a S.Vito. Questo numero mi conforta: dimostra che si può reggere senza troppa difficoltà una sfida che viene dall’inflazione di immagini virtuali. Esiste inoltre una possibilità, accennata da alcune mie opere, di lavorare in progressiva espansione dimensionale, con ingrandimenti plottaggi e con l’idea, che qualcuno credo abbia colto in alcune opere esposte, di usare il principio delle matrioske russe per realizzare quadri grandi a partire da piccoli dettagli di opere realizzate come semplici abbozzi o schizzi in precedenza. E’ un modo di procedere che trovo naturale e particolarmente divertente in certi casi. Nel 2013 ho esposto a Parma, ed anche a Sacile, plottaggi su fogli di 1 x 1,5 mt di alcuni post_it che avevo conservato.

E’ evidente che la sfida tra arte in presenza e arte vista online / su pc o palmare dipenda però dalla diversissima qualità della fruizione di dipinti su carta, tavola o tela, in presenza, mentre la sfida per la quantità rischia di essere quasi sempre una battaglia persa senza online in una estemporanea.

Le opere reali viste in presenza hanno il pregio di far capire immediatamente a chi guardi con attenzione come ha lavorato chi le ha realizzate, mentre un quadro o un dipinto, quale che sia, visto dal proprio cellulare non offre il più delle volte questa possibilità.

Resto convinto che convenga mantenere questa prassi espositiva e l’utilizzo di raccoglitori / books ; recarsi in presenza a vedere opere grafiche, dipinti e sculture è enormemente meglio che guardare un cellulare, anche se è uno straordinario vantaggio per che fatichi a muoversi, per chi è pigro, e per il numero strabiliante di opere d’arte meravigliose che esistono al mondo; ma costruire col tempo altri books di Ar.So., per quanto sia criticabile, troppo sportivo forse e un po’ zingaresco il modo di esporre opere di arte visiva, non è cosa alla quale rinuncerei volentieri: fa parte del vedere in presenza senza eccessi di formalismi, di cornici e riducendo spese non indispensabili. E’ giusto d’altronde che chi voglia a casa propria un’opera scelga come arredare, secondo il proprio gusto personale, guidato magari da un buon corniciaio.

Criticabili scelte dunque, i books, ma funzionali a gestire sobriamente spazi non troppo grandi e tempi di esposizione brevi, per consentire uno sguardo a molti diversi pezzi unici.

Uno o molti articoli a parte meriterebbe il tema del ruolo delle cornici in pittura e stampa fotografi

Mettere in cornice è una tradizione, un artigianato e forse un’arte a sé stante, e per questo mi preme subito dire che può essere anche un’arte di sviare l’attenzione e un’opzione non obbligata, e non necessariamente virtuosa: oltre al vantaggio di poter essere riciclate le cornici sono per certi versi un motivo di spesa inutile, di miglioramento ma anche peggioramento della fruizione di un dipinto, e persino possono costituire fattore di inquinamento e danno ambientale, in molti sensi. Un’arte sobria ha in cantiere prossimamente alcune soluzioni innovative in proposito e anche questo fa parte della fioritura di idee di cui sono certo, grazie alla ricettività di Ilaria e di Gerardo, che ha già maturato molta esperienza nell’arte di incorniciare.

Qualcosa di simile alle cornici si potrebbe scrivere e preannunciare per i basamenti delle sculture, che da giovane ho sempre considerato, sbagliandomi, con pochissima attenzione. Come le cornici i basamenti non sono quasi mai indispensabili, ma quasi sempre svolgono funzioni estetiche potendo esser parte dell’arte scultorea, e funzioni sia di stabilità e sicurezza che di protezione, dell’opera e del pubblico in caso di sculture grandi.

Ovviamente il modo ideale per una buona fruizione di sculture da parte del pubblico esigerebbe spazi abbastanza grandi da consentire di girare intorno all’opera in sicurezza, per guardare liberamente da ogni lato le sculture dette ‘a tutto tondo’, mentre bassorilievi e quadri dovrebbero essere necessariamente collocati in relazione alla loro profondità, luminosità, con attenzione alla luce naturale, che è fondamentale anche per la percezione dei colori in un dipinto. In Italia nei secoli passati questo è stato fondamentale ed oggi si va perdendo cultura in proposito. Inoltre, anche i basamenti possono essere buoni motivi di riciclo di materiali molto diversi e una linea di ricerca in questo senso è sviluppabile abbastanza facilmente. Ne riscriverò.

Quanto alla questione di cosa si intenda per ‘Pezzi unici’, in scultura pittura e fotografia, ne ho parlato estesamente il 27/05 e ho ricordato che salve le poche fotografie, le mie realizzazioni sono pezzi unici singoli effettivi e non intendo modificare per ora quella che è sempre stata una mia scelta. Fare diversamente significa a mio parere ridurre un poco il valore della propria ricerca artistica, che nel mio caso ha molti limiti di tempo.

3) La catalogazione del lavoro di singoli artisti è cardine del non semplice impegno a memorizzare e documentare caratteristiche, viaggi, passaggi di proprietà, diatribe, dimenticanze di attribuzione e sgabuzzini. Anche opere di straordinario valore oggi riconosciuto seguono percorsi incredibili – basti pensare che la stessa pietà Rondanini non fu attribuita Michelangelo Buonarroti per qualche secolo. Questi percorsi fanno parte del fascino della storia dell’arte, ma anche della più semplice cronaca giornalistica. Basti pensare il biennio di gloria di un cristo ligneo erroneamente attribuito a Michelangelo, certamente realizzato da un talentuoso legnaiolo fiorentino del ‘400.

Oggi dovrebbe essere più semplice catalogare grazie al personal computer (PC) al Web e all’Intelligenza Artificiale (IA), ma non ci si deve illudere che le storie non vengano male scritte e non siano destinate a volte all’oblio.

La faccenda mi ha in ogni caso sempre interessato, sin dai miei 20 anni, per diversi motivi:

  1. l’insegnamento che alcune esperienze colle sculture mi hanno regalato non solo durante la realizzazione ma anche nelle fasi finali, di cottura in fornace delle terrecotte, e altrettanto dopo la loro esposizione al pubblica, donazione, vendita.

  2. Secondo me il percorso e destino delle opere fa parte della cura e della terapia che è potenzialità sostanziale di tutte le arti;

  3. Come suggerisce un saggio di Eric Neumann seguace di Carl Gustav Jung, la psicologia del profondo riguarda non solo l’atto, ma anche la riflessione sul fare artistico. Questo potrebbe essere incluso utilmente nella arte terapia, che è una psicologia del profondo in molti sensi. In particolare la scultura, ed ogni singola opera d’arte scultorea che attraversa il tempo è, come sostenne e praticò Constantin Brancusi, con altri grandi scultori nel ‘900, un invito alla meditazione e alla ricerca di senso dell’esistenza;

  4. una scelta di custodia può diventare un modo di riflettere su un cammino che prosegue, una volta che un’opera è collocata o cambia collocazione.

CONTROCANTO è stata, concludendo, occasione unica per suggere innanzitutto ai soci di Arte Solidale che le opere di cui sono comproprietari suggeriscono riflessioni e progetti artistici e di solidarietà a chi resti attivo. E pongono in effetti un problema di custodia e collocazione: questo problema è abbastanza facilmente risolvibile, ha sempre avuto modi semplici di soluzione, di cui si discuterà al prossimo incontro tra i soci a fine giugno 2023. Seguiranno nuovi articoli.

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