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Quando un’opera d’arte è N.F.V.

mai fruibile virtualmente: un’idea controcorrente

 Di recente, e come di questi tempi sempre accade molto rapidamente, ha preso piede in dimensioni che si possono dire globali, un’innovativo carattere attribuibile alle opere d’arte (o ad altri contenuti creativi o di intrattenimento, musica o giochi, circolanti in rete), definita NFT – acronimo per Not Fungible Token.
Questo ‘nuovo’ carattere, che corrisponde a un brevetto internazionale risultato enormemente remunerativo per l’ideatore – il ricchissimo, potente creativo ideatore di twitter, Jack Dorsey – supporterebbe la paternità di un’opera.
Forse si può tradurre NFT letteralmente con “Gettone non fungibile”, oppure forse anche con “Opera non fruibile per concreto/reale contatto diretto”. Ma è fuorviante, come ogni letteralismo, e in questo caso i gettoni o gli euro sono risultati enormemente fruibili. Quel che diventa in un certo senso perso e non fruibile è il rapporto in presenza con un’opera d’arte. Questo aspetto a me personalmente non piace, mi sembra uno dei tanti nuovi epifenomeni disumanizzanti, piccoli e grandi, che abitano il nostro distopico presente, a mio parere per certi versi creativo per altri tutt’altro. Anche per questo, qui provo a ‘inventare’ qualcos’altro.

Pochi mesi fa, ricordo, l’associazione arte solidale ha ricevuto in dono un’opera NFT da Manuel Baldassare, e ne ha acquistata una sempre da Manuel. Dal che deriva una condizione lievemente paradossale per cui Manuel, in quanto socio, è anche comproprietario delle opere donate, che possono pertanto essere riprodotte, usate per sviluppare copie, o varianti, anche materiali e non solo virtuali, all’interno di futuri progetti dell’associazione e con il consenso di Manuel.

Torno al tema.

I NFT sono una delle tante applicazioni della cosiddetta “finanza decentralizzata”, ovvero: un insieme di servizi e processi automatizzati, informatici, attivati con l’ausilio di contratti intelligenti (smart contract) senza intermediari. Queste applicazioni, difficilmente afferrabili dai non addetti ai lavori, costituiscono un nuovo paradigma nella gestione dei diritti di proprietà.

Resta sottinteso che al momento le opere d’arte visiva non siano omologabili al denaro, e quindi tutte, in quanto opere uniche, tutte potenzialmente Not Fungible Token. La questione tuttavia non è chiara e nemmeno scontata, perché il modo in cui avvengano transazioni commerciali di opere d’arte, come di ogni altro bene, non sono tutte identificabili in modi virtuali e non avvengono tutte in rete. Questo ha a che vedere con gli aspetti finanziari e generali degli scambi commerciali.

Le implicazioni giuridiche dei diritti di proprietà ed altre implicazioni, sociali ed etico-politiche, mi hanno suggerito l’idea esattamente opposta ai NFT, idea che pure, forse, può rappresentare qualcosa di innovativo nel mondo dell’arte.

Nel caotico mondo dell’arte che con tutto il restante mondo è in rapidissima trasformazione, comunque, credo si possa dire da decenni vi sia estrema opacità, ambiguità, quando non vera falsificazione a mero scopo finanziario, del sistema-mercato dell’arte visiva. Per un approfondimento su questo, suggerisco di adocchiare libri di due noti artisti visivi: sia Enrico Baj “Ecologia dell’arte”, 1990, sia il più recente “Per non morire d’arte”, 2021 edizioni le Vele Einaudi.
Entrambi questi libri sono disponibili ai comproprietari, in quanto parte della biblioteca di arte Solidale, volendo.

L’idea opposta al NFT, che mi è venuta è la seguente

Si può prevedere, per quanto paradossale appaia, che alcuni artisti (come me) non desiderino in certi casi (con certe opere, e non necessariamente per altre) entrare, affatto, mai a far parte di meccanismi di rete virtuale globale (world wide web), né per la compravendita delle proprie opere, né per la effettiva circolazione e fruizione di immagini che le riproducano.

La presente definizione si applica a questi casi, e alle sole arti, non ad altri beni. Le opere d’arte in quanto beni unici ma riproducibili consentono esplicite scelte dette di post-produzione: la definizione si applica come novità (forse), in dettaglio, alle arti visive lente (disegno, pittura, scultura, fotografia analogica e digitale); si applica già da tempo e cum judicio – cioè con i dovuti aggiustamenti legali, legati al mezzo e alla dimensione artistica differente – ai concerti, così come a tutte le esecuzioni musicali e a tutti gli spettacoli teatrali, installazioni e performances incluse; non si applica, almeno non credo, salvo eccezioni o revisioni della definizione, alle arti visive veloci (cinema e audiovisivi in genere, siano essi prodotti d’ingegno umano o risultato di Intelligenze Artificiali, IA).

Spiego più semplicemente l’idea del NFV. Se abbiamo presente quando si chiede di spegnere i cellulari a teatro prima che si apra il sipario, il divieto di usare mezzi virtuali anche a solo titolo personale è subito chiaro.

La mia stessa idea trasferita alle arti visive lente è che per certi dipinti e sculture questo stesso invito a spegnere cellulari e rinunciare alla rete si voglia e possa far valere, preferibilmente sempre.

Un’opera è cioè NFV (Never Fungible Virtually = Mai Fruibile Virtualmente) quando chi la realizzi voglia esplicitamente che detta opera non sia mai passibile di una fruizione se non da persone reali, direttamente e in presenza.
Si ritiene, in altre parole, per esplicita volontà dell’autore, vietato, in ogni caso ritenuto scorretto, sgradito all’autore/agli autori, persino potenzialmente sanzionabile, il fatto che un’opera dichiarata NFV sia soggetta (subisca) riproduzioni e ne derivi la circolazione di riproduzioni in rete: nell’intenzione esplicitamente espressa dagli autori con la dizione NFV, l’opera non dovrebbe mai essere fotografata (salvo l’eccezione, vedi infra, della scultura)(1), mai riprodotta in più copie, e senza eccezioni mai in forma digitale, e soprattutto mai fatta circolare in rete.

Questo, in modo che la fruizione, certificazione, eventuale compravendita, sia possibile solo in presenza, in relazione diretta tra autore e pubblico, o tra autore e compratore eventuale (senza mediazione di critici galleristi o altri); e in modo tale che la fruizione, prima ancora del possesso eventuale di un’opera, risulti di maggior pregio e interesse per il fruitore, l’autore e la loro relazione; e risulti più simile alla musica, e per certi versi alla vita stessa, in cui ogni momento è unico, va gustato, e quando passa quel momento non ritorna: non è riproducibile, con buona pace di Walter Benjamin e del suo profetico ‘L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica’.

Non ritengo che questa idea sia un ritorno al passato, anche se qualcuno può piacere leggerla in questo modo. Piuttosto, io sono a favore di un’ecologia da reinventare e della necessità di farsi venire idee che procedano controcorrente, rispetto a quelle dominanti e prevalentemente commerciali o egoistiche.

Il significato del NFT è solo in parte e del tutto marginalmente legato a questioni economico-finanziarie, commerciali, e legali; ha invece molto a che vedere con la difesa del valore relazionale intrinseco, interpersonale, e culturale-antropologico, umano e anche terapeutico e biologico delle opere d’arte, nonché degli eventi musicali e del Teatro, che sono dimensioni degne d vicinanza, valorizzazione reale, etico-sociale e simbolica.

1. nota

Nel caso delle sculture, oggetti tridimensionali realizzati artigianalmente da umani in qualsiasi materiale per via di apposizione plastica, escavazione di pietre, fusione di metalli, e/o assemblaggi, si distinguono oggi convenzionalmente opere dette “uniche”, anche quando il numero di copie di una data forma originale è non pari a 1, ma “uguale o inferiore a 8 esemplari”; opere “multiple” quando il numero di copie è superiore a 8 esemplari; si ritiene opportuno specificare pertanto la dizione opera unica effettiva originale, quando si tratti di forma priva di calco e mai riprodotta in copia/copie; una scultura potrebbe mantenere la caratteristica di NFT anche nel caso che, per concessione dell’autore, siano realizzate fotografie analogiche che la riproducano: nel caso di foto analogiche, o di stampe a sali d’argento o simili, le foto stesse risulterebbero pure NFT, in copie numerate, e parte costitutiva dell’opera NFT in quanto per certi versi una foto analogica sia indubbiamente unica e non identicamente riproducibile, oltre che fortemente informativa delle caratteristiche di opere tridimensionali.

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