Si sta per concludere una lunghissima “settimana” della cultura, che un manifesto cittadino mi ricorda, si estende quest’anno 2024 dal 03/04 al 12/05.
E’ un periodo durante il quale la quantità di occasioni di intrattenimento è sempre maggiore del resto dell’anno, ed è stata decisamente troppo elevata per le mie possibilità di lavoratore ospedaliero. Con una tale quantità di eventi da seguire anche solo in provincia o in regione, ognuno ha inevitabilmente la propria parziale, minimalista, frammentaria settimana della cultura del resto, con rare eccezioni; e come al solito posso dire che ho per lo più vagamente percepito e talvolta rapidamente, talvolta distrattamente seguito, un gran numero di attività e manifestazioni culturali e politiche – di diversissimo livello e interesse per me.
Per il resto dell’anno un minimo di approfondimento tornerà possibile, e non resta per quanto mi riguarda che constatare quanto segue: il dialogo e la discussione di alcuni argomenti cruciali in presenza, dalle mie parti pare chimerica illusione.
Dedico dunque la seguente riflessione all’amico e pittore Marco Tracanelli, che in questi giorni mi ha invitato alla sua interessante iniziativa intitolata: “solitudine / solidarietà “, anche per scusarmi, e comunicargli una mia convinzione, che mi auguro sia anche sua.
A mio parere la faticosa e minoritaria, ma potente strada della solidarietà incontra molti ostacoli che vanno rimossi innanzitutto in solitudine, forse addirittura attraverso e per esplicito tramite della solitudine più dura, fin a tratti disperante.
E la solitudine son certo non basti a comprendersi ed amarsi come esseri umani, ma può servire, anzi forse deve. Personalmente non trovo strade migliori che pensare, scrivere, in solitudine, proprio per insistere con una pratica d’arte sobria e solidale, al momento. Occasioni di incontro dirette e indirette matureranno, credo che come in ogni cosa artistica è solo una questione di pazienza, di tempo, e il tempo del disvelamento è relativamente lungo.
Fine del saluto-dedica a Marco Tracanelli.
Tornando alla settimana anzi al mese e più della cultura, si pensi all’Arte nel modo profondo di Anselm Kiefer o alla creatività come un nuovo bene di consumo grazie all’intelligenza artificiale – Non credo – l’impegno che diventare o restare artisti è pesante, inevitabilmente personale, e di questo durante la settimana della cultura bisognerebbe parlare di più, e in favore dei giovani di oggi.
Mi pare ogni anno che le manifestazioni siano troppe, e troppo celebrative, non solo per me che ho gusti difficili e poco tempo, ma per tutti. Sono indubbiamente troppe fino all’inutiltà le manifestazioni culturali che si svolgono a pochi metri di distanza l’una dall’altra, negli stessi giorni ed ore. E c’è da chiedersi se di alcune “tradizioni” culturali, come la sagra primaverile dei osei, non si possa fare del tutto a meno – o quanto meno far altro dal far soffrire animali in gabbia. Il tipo di risposta degli umani al mondo animale – sempre perdente in una rapida partita a scacchi quotidiana in cui molti vengono mangiati – potrebbe cambiare molto in meglio se si tenesse in debito conto quanto spiegato nel libro “Modi di essere”.
Ma in fondo, il nostro è un secolo e mezzo di cultura in cui si è riusciti a cambiar poco. Dopo Hiroshima e Nagasaki, pare disse Alberto Einstein poco tempo prima di morire, le condizioni dell’umanità sono totalmente cambiate ma non si è ancora verificata alcuna correzione nella direzione delle nostre abitudini e tradizioni. Analogamente i suggerimenti che ci vengono dal climate change potrebbero farci cambiare un poco in meglio il nostro rapporto con il mondo naturale, noi e la biosfera potremmo esserne più felici ed insieme più consapevoli.
Anche per questo inamovibile secolo e mezzo di cultura globale, dalla mia settimana/mese della cultura, ricavo un’impressione generale per quanto si è verificato in occidente in queste settimane, e credo che telegraficamente valga la pena sottolineare il nesso tra cultura, democrazia e libertà politiche, che è sempre forte, importantissimo per le sorti della global civic society, soprattutto durante un anno – il 2024 – in cui miliardi di cittadini al mondo votano: elezioni democratiche e non.
Quanto si è verificato e quanto accade in queste settimane è almeno vagamente noto a tutti. Le recenti proteste di studenti universitari negli Stati Uniti, come quelle strettamente collegate in Italia, proteste che conseguono alla guerra fortemente asimmetrica in corso tra Israele e Palestina – risposta all’orribile strage e alla cattura di ostaggi da parte di Hamas il 07/10/2024, mi hanno rattristato e preoccupato.
Come se non bastasse la crudeltà del 7 ottobre e la guerra, a rattristare devono mettercisi anche violente prese di posizione istituzionali, in direzione antitetica a quel che ci si potrebbe aspettare, auspicabile per da una società aperta, durante la settimana o il mese e più della cultura. Sia per le veementi manifestazioni di antisemitismo e di anti-arabismo di giovani, che hanno costituito una parte finora minore delle manifestazioni e delle proteste, sia per le intimidazioni governative alle istituzioni universitarie che direttamente e indirettamente le università, soprattutto americane, hanno dovuto subire, questo è profondamente ingiusto, per non dir di peggio, venendo da governi democratici. Questo accade oggi in Paesi che dovrebbero essere i più liberali e democratici, gli USA, ma dimostrano di non esserlo, di esser ben lontani da una declinazione sobria del valore della libertà, una parola stuprata fin troppo spesso da chi la sbandiera. Se una richiesta di discussione e approfondimento anche brutale da parte di giovani studenti porta fino a minacce di impossibilità a proseguire i propri studi, o a minacce e violenze fisiche, allora il sistema educativo che le società occidentali attuano è decisamente sbagliato e da ripensare, in ogni caso ben lontano dalla apertura che noi occidentali vorremmo rappresentare. Ma solo uno stupido potrebbe credere che certe posizioni istituzionali siano prove convincenti di una società aperta, e non stupida.
Detto più semplicemente, rigettare, impedire una protesta e le richieste di approfonditi dibattiti su temi di guerra e pace è cosa ben poco convincente. Esattamente come poco convincente è occupare una piazza chiedendo di boicottare progetti di ricerca internazionali che prevedano la partecipazione di università israeliane, o studiosi e scienziati di qualsiasi altra nazione e cultura.
Oggi come sempre è tempo che ogni mente si apra ad un dialogo civile perenne per il diritto a conoscere sempre meglio tutto, qualsiasi problema e proposta di soluzione umana, perché solo questa apertura garantisce un’armonia, e una convivenza tra popoli e tra generazioni, non altro.
Se è vero che i reati di opinione esistono nelle dittature e non altrove, e se è vero che gli altri reati, dalle ingiurie alle sommosse sono esecrabili ovunque, anche in università;
Se è vero che la violenza verbale o fisica da parte di chiunque, giovani studenti universitari inclusi, va risolutamente impedita se va ricordato che ingiurie e percosse non sono minimamente argomenti in una discussione – bisogna però fermamente difendere il diritto delle giovani generazioni a protestare, a conoscere, a dibattere dialogando innanzitutto, se lo vogliono – va loro reso merito, se lo vogliono, proprio le questioni più gravi – Israele e Palestina, Russia ed Ucraina, sfida climatica, migrazioni e razzismo, in campo nel mondo oggi.
Su questo, reitero argomento di discussione, a chi ritenga di leggere e – magari – perfino di dialogare.
Ho riflettuto mesi in solitudine sul tema della pace e della guerra e a parte aver imparato e ripassato quanto altri avevano già pensato e scritto, cercando di attualizzare sono giunto alla conclusione che oggi sia ora di piantarla con tanta retorica – sia pacifista che bellicista.
Entrambe dominano oggi ma né un né l’altra possono convincere. Perché quanto successo dall’inizio della guerra russo-ucraina, e altrettanto nella nuova guerra tra Israele e Palestina, mostra come non solo non esista alcuna guerra giusta, ma come non esista alcuna possibilità, oggi, di una pace giusta.
No peace without justice è un ideale e un monito troppo disatteso soprattutto oggi.
Le ingiustizie perpetrate nel mondo nell’ultimo secolo e mezzo sono troppe, e perduranti, perché la parola giustizia e pace possano essere oggi pronunciate insieme, senza grave disagio.
E c’è ben poco di giusto in quanto sta accadendo nel mondo, questa lampante ovvietà è condita al cittadino medio come profluvio di quotidiani nascondimenti e menzogne – per non parlare di presunti dialoghi a spot, di mezzo minuto, che non sono minimamente autentici e non possono – non potrebbero dirsi reali dialoghi, tra opinionisti da talk show brillantemente imitati da molti influencer sui social.
La conclusione ulteriore non può che essere una: ci si può e si deve operare per ottenere, piuttosto di niente, tregue e paci provvisorie e ingiuste: realistiche tregue di compromesso per ottenere forse, più avanti, una pace la meno ingiusta possibile; il primo passo da fare per renderla meno iniqua è proprio dichiarare esplicitamente (ubuntu) che, in modo semplice, umano, laico, se si preferisce semplicemente sincero, anche una tregua ed una pace ingiuste sono preferibili a quanto tragicamente ogni giorno in questi giorni accade. Questo è un principio neanche troppo puro di una politica nonviolenta autentica.
La complessità crescente del mondo e la virtualizzazione di rapporti interpersonali con i rischi e i vantaggi correlati alle IA e ad ogni nuova tecnologia della comunicazione, esigono l’ammissione anti-retorica che, come del resto in passato, come sempre, la giustizia tanto quanto la verità sia un ideale a cui costantemente tendere insieme, mai ottenibile in modo definitivo.
Molto spesso però, la rimozione di ostacoli iniqui contribuisce enormemente a ridurre il peso del dolore psicologico e fisico, in tutti e in ciascuno. Su questa possibilità io nutro molta fede e speranza.
A rinforzo di questa considerazione mi sento in obbligo di esplicitare la mia recente lettura di un libro di storia su Giacomo Matteotti: uno dei numerosi passi cruciali e attuali del libro accennano alle ragioni vere o presunte come cause di conflitti politici e di guerre.
I passi necessari per qualsiasi riconciliazione, ma anche per fornire antidoti all’odio che alimenta spesso per secoli fraintendimenti e disagi tra individui e gruppi, è una memoria ferma che distingua i fatti e precisamente distingua i torti veri da quelli presunti.
Detto questo, con l’augurio ai giovani che mostrino la loro intelligenza nel recepire quanto scritto, non tanto da me quanto da libri buoni, da scegliere fra molti, la mia settimana della cultura finisce qui. Domani preparo un invito a una mostra che mi ha costretto a studiare e tornare “giovane scacchista dilettante”. Il seguito quindi alla prossima puntata.
Franco