Tregua a Gaza e Dintorni
Ammettere anche la propria, non solo l’altrui crudeltà.
“La catastrofe della vecchia etica patriarcale (della negazione del negativo ndr) abbraccia … la riduzione dello spiritualismo all’economico-politico, il credersi al di là di ogni comandamento morale, il rimando ad un onnipervasivo relativismo. “
Romano Madera, saggio introduttivo a Erich Neumann “Psicologia del profondo e nuova etica”, Bollati Boringhieri
prima edizione 2003, seconda 2005
Una adesione convinta al principio di iniettare forti dosi di transparency, anche là dove resta confusione su quale sia la strada migliore da prendere in momenti topici, e soprattutto la revisione critica quotidiana del proprio operato in dialogo coi propri collaboratori potrebbe rendere ogni governo migliore. Inoltre, idealismo e creatività in qualsiasi situazione possono eccezionalmente e paradossalmente risolvere le conflittualità più complesse. Purché siano autenticamente sentite, sostenute, lavorino sodo e, salvo non meglio definite commendevoli, e discutibili eccezioni, restino nonviolente.
Se è vero quel che un mio Amico mi disse, che l’ingenuità è una forza, le mie seguenti riflessioni su argomenti che riguardano tutti oggi, di cui nessun cittadino medio si ritiene abbia sufficienti competenze per parlare, sono un esercizio di “candour and transparency”, che arrovellandosi come me chiunque ha già fatto, senza scriverne.
Sono in corso tali enormi carneficine per le quali molti ritengono di non poter fare assolutamente niente – men che meno pensare – ma io non lo credo. Ognuno se può deve esprimersi.
Scriverne e discuterne potrebbe servire, persino risultare utile a qualche politico, e quanto meno confortare psicologicamente qualche lettore del sito www.artesobriaesolidale.it, sull’esile speranza in una de-escalation dei conflitti in corso – più di 50 nel mondo.
La prima cosa da dire per me è che queste guerre potrebbero abbastanza rapidamente concludersi, se lo si volesse, e volerle far cessare non significa tener conto di innegabili vantaggi materiali per tutti, ma voler vedere quanto siano identicamente crudeli le opposte fazioni.
Una nota, anche se non troppo, crudeltà in tempo di pace reiterata in Palestina è l’erosione di territorio da parte di coloni, che oggi sembra un nonnulla di fronte all’orrenda violenza perpetrata da Hamas contro cittadini, alcuni dei quali sono sicuramente capaci di empatia verso il popolo palestinese.
Non c’è infatti nessun motivo per fare alcuna differenza tra innocenti bambini ebrei e innocenti bambini palestinesi, né tra tutte le altre inermi vittime civili e gli ostaggi, che pure sono innocenti ed inermi. Non n’è alcun motivo per non riconoscersi uguali, come vittime innocenti di violenza altrui, e come esseri umani.
E’ in questo che risiede l’unica autentica speranza di far cessare ogni guerra nella sua complessa assurda e tragica stupidità.
Il fatto che Hamas abbia commesso carneficine orrende e messo sotto ricatto Israele è indubitabile, come è indubitabile che Il russo Putin abbia aggredito altra Nazione e altro popolo, quello Ucraino, dando avvio ormai molto tempo fa alla sua “operazione militare speciale”, una lunga e orrenda partita a scacci con un’enormità di morti devastazioni e dolori.
Queste enormità orrende non consente di fare differenza tra i morti e i feriti da una parte e dall’altra, al contrario: e soprattutto non ci si deve consentire – con la vomitevole scusa dal Natale consumistico, di dimenticare che i motivi di entrambi gli attacchi in violazione di criteri di umanità, come in violazione palese delle cosiddette norme del diritto internazionale, dipendano da numerosi antecedenti errori soprattutto da parte occidentale.
Se l’occidente così come l’oriente avessero davvero intenzione di far cessare la guerra in Ucraina e la guerra in corso a Gaza, il primo atto politico lungimirante dovrebbe essere quello di ammettere i propri errori e la propria stessa tragica crudeltà.
In questo caso, sarebbe persino possibile, non saprei dire quanto probabile, che Putin stesso e persino alcune organizzazioni terroristiche islamiche in Gaza si troverebbero disposte ad ammettere che le loro azioni sono crudeli, e contrarie a qualsiasi spirito di autentica religiosità.
In secondo luogo, una lunga tregua potrebbe iniziare sulla base della dichiarazione esplicita che la tregua non possa equivalere ad una semplice pausa di riarmo, ma ad una cessazione della crudeltà per consentire un ripensamento sui propri obiettivi alle fazioni in guerra.
Il realismo in campo militare potrebbe tornare ad essere un valore anche implicito, e alcune questioni si porrebbero in nuova luce.
Hamas non è in condizioni di distruggere Israele senza distruggere anche il popolo palestinese, e gli ebrei non possono perpetrare il programma di assoggettare tutta Gaza o tutta la Palestina ad un territorio militarizzato senza incorrere in fortissime critiche dal proprio stesso popolo, né eludere il fatto evidente che gli eccessi nei confronti dei palestinesi alimentano l’anti sionismo e l’antisemitismo – anzi, che l’unica ragione di antipatia nei confronti del popolo ebraico oggi giustificata è questa.
Tutte queste mie considerazioni danno oggi massimamente ragione a Eric Neuman, che scrisse contro la guerra sulla base di considerazioni di psicologia ed esistenziali durante la seconda guerra mondiale in un modo che oggi a rileggerlo risulta nel contempo profetico e di estrema attualità.
Il suo pensiero come, ogni pensiero profondo, restò e resta ai margini ed inascoltato, e a vedere lo stato del mondo è chiaro che le resistenze al pensiero sono psicologiche, esistenziali, persistenti, pervasive – nel senso che le coscienze sono obnubilate e che la mancanza di pensiero morale e politico pervade le istituzioni, ne determina di fatto una semi afasìe ed una paralisi.
Per fortuna oggi 08/12/2023 il segretario dell’Onu si è deciso a citare l’articolo 99 ella Carta, il che equivale a dire che la situazione in atto rappresenta un rischio per la sicurezza internazionale. Questo è vero dal momento in cui è stata attaccata l’Ucraina, e dal momento in cui Hamas ha lanciato il suo attacco il 07/10 ancor di più.
Se i conflitti sono tanti e tali e crescono, allora, una tregua andrebbe proposta ovunque e andrebbe riproposto ovunque il tema del protrarre a lungo tregue in tutti i luoghi di guerra nel mondo, per migliorare sinergie diplomatiche e proposte politiche. Le proposte politiche partiranno sempre da una ridefinizione di confini territoriali, tuttavia una proposta migliore potrebbe consistere nel proporre vaste aree territoriali in cui si rispetti una tregua esplicitamente in vista di accordi internazionali.
L’esile speranza è uno slogan di pace lanciato l’altro ieri o giù di lì sull’Avvenire, e in modi simili su quasi tutti i quotidiani e molti altri media e social, appena a Gaza si è affacciata un debole e breve, troppo breve tregua. Ci saranno reiterazioni di speranze simili, e poi verremo distratti da altre notizie, probabile. Soprattutto, se non saremo distratti verremo sopraffatti dalla frustrazione dell’inutilità di tregue troppo brevi.
A mio parere non si tratta tanto e soltanto di “avere” quanto piuttosto d’esser capaci di “essere” speranza, ciascuno per sé e al contempo per altri, tanto più in tempi di guerra. Aggiungo che questo del tentar d’essere speranza è uno dei pochissimi principi o valori che danno senso e gusto alla vita umana, generano l’entusiasmo del pensare, la benedizione della possibilità di una convivenza civile e democratica, di cui molti Paesi ancora non possono minimamente godere.
Avere speranza è oggi certo, indispensabile a chiunque, per fare quasi qualsiasi cosa.
Ma certo averne non basta, ed è molto meno importante dello sforzo ingenuo di darsi modo d’essere speranza per qualcuno, capaci di pensare e fare cose improbabili e differenti, pur di chiuderla con certe tragedie e certi dispetti (cfr J.Cacioppo, “Introduzione alle neuroscienze sociali”) per motivi che palesemente rientrano negli egoismi nazionalistici o peggio imperialistici.
Come atteso, i giorni di tregua a Gaza sono finiti la liberazione di numerosi ostaggi israeliani è stato il motivo di speranza, e certamente non corrisponde ad una soluzione del conflitto a Gaza, ma rappresenta un indicatore formidabile sulla necessità di urgente riscoperta della politica della diplomazia, e anche della rete come potenziale terreno di proposte emergenti dalle opinioni pubbliche e dalla global civic society, entità ultimamente adombrata da caotici interessi oligarchici.
Meno attese e di sollievo, a mio parere, due notizie di poche ore prima della tregua, forse collegabili alla tregua stessa: l’incontro tra il presidente cinese e il presidente degli USA, e un aspetto non trascurabile del discorso di Vladimir Putin virtualmente presente al G20. Putin ha dichiarato di fronte a Paesi democratici che la guerra è in ogni caso una tragedia e ben sapendo che non ci si deve fidare di un dittatore, così come non c’è necessariamente giustizia nell’averlo ammesso al dibattito, le sue parole non possono e non devono essere trascurate. Non c’è dubbio che il discorso pronunciato virtualmente sia rivolto ai propri ascolti interni e alla Russia, dove non c’è possibilità reale di dissenso, ma è altrettanto ineludibile che la disponibilità a trattare emerga anche all’esterno, o voglia sembrare tale anche al mondo delle libertà democratiche, alla Cina, a tutto il mondo. Essendo il G20 un ambito istituzionale che prevede dialogo, del tutto prescindere dalla eventuale repulsione che una dittatura possa suscitare in un cittadino democratico occidentale, le parole di Putin in quanto tali meritino in termini di diplomazia e di politica una reazione del tutto diversa da quella di molti politici europei e di Giorgia Meloni.
La risposta di Giorgia è pragmatico-muscolare e perfettamente in linea sia con il suo forte carattere di donna di potere sia con la forma mentis e il modello culturale di molte destre Occidentali, che non hanno nessun interesse a porre domande e ad avviare un dialogo con il proprio interlocutore chiunque sia.
La mia simpatia o antipatia per Putin o per Giorgia Meloni non hanno a che vedere con le considerazioni appena fatte. Constato semplicemente la perdita di occasioni cui si costringe la politica in momenti favorevoli a domande, dialogo e proposte.
Domande dialogo e proposte sono gli ambiti reietti della parola e della politica del XXI secolo. Sono entità paragonabili alle tropical neglected diseases ( cfr in rete su Pubmed, Public Medicine, e su PloS, Public library of Science ) in medicina, sistematicamente rimosse dal piano degli investimenti perché ritenute di troppo poco valore per suscitare interesse in un mondo dove il denaro pare diventato l’unico catalizzatore simbolico (cfr U Galimberti, L’etica del viandante e molti altri libri, testi, discorsi, che personalmente ritengo profondi e importanti quanto discutibili, per certi versi criticabili).
Non credo alla comoda resa imputando al denaro la perdita di ogni capacità di riscatto Europeo e occidentale dalla propria sequela di errori e insipienze: è proprio di fronte alle parole di Putin che bisogna spingersi a domande e proposte creative in ambito diplomatico e politico, perché dove giunge la parole la spada non giunge, esattamente come viceversa.
Le parole esigono una transparency che va praticata come semplice pre-requisito di un recupero del valore dei compromessi, o nessuna tregua e nessuna de-escalation risulterà oggi possibile. Il rispetto leale che gli indiani d’America accordavano al nemico in guerra andrebbe rispolverato dagli USA e dall’Occidente tutto riconoscendo quanto di più ovvio e semplice: a Putin bisognerebbe quanto meno rispondere che la sua affermazione sulla tragicità della guerra è del tutto condivisa dall’Europa, dall’America, dall’Ucraina, e che dipende da Tutti smetterla: proprio per questo motivo sarebbe auspicabile porre fine ad una operazione militare speciale sempre più identica ad una guerra senza fine senza proseguire oltre, trovando modo cioè di proporre un rientro il meno violento e tragico possibile per il popolo Russo, Ucraino, Europeo e per il mondo intero.
Le proposte potrebbero e forse dovrebbero esser fatte in forma di domande:
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La Russia accetterebbe di avviare una tregua in Ucraina come quella in corso a Gaza?
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Accetterebbe di proseguire ben oltre pochi giorni la tregua, data la dimensione e l’importanza delle questioni Ucraine?
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Accetterebbe di ammettere che i suoi soldati infliggono orrende sofferenze a innocenti civili di un popolo fratello?
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Accetterebbe di lasciare agli Ucraini il loro diritto all’autodeterminazione come paese libero e democratico?
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E di definire un’area territoriale vasta di non belligeranza entro la quale definire nuovi confini?
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Accetterebbe di rinunciare al criterio insulso dei veti e di sostanziare in questa direzione una riforma dell’ONU, a favore di un miglioramento delle sue future risoluzioni? (E se no, in quale altro modo si potrebbe pensare di riformare l’ONU?)
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La Russia accetterebbe mai un percorso d’integrazione graduale dell’Ucraina nell’unione Europea, a quali condizioni?
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La Russia accetterebbe di riconoscere propri crimini internazionali e i Paesi Occidentali accetterebbero di riconoscere i propri?
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La Russia sarebbe favorevole a mediare con Hamas favorendone l’allontanamento definitivo dalla Palestina, insieme con tutte le altre organizzazioni terroristiche per consentire il riconoscimento di nuovi confini e il diritto di autodeterminazione di Palestina ed Israele secondo la nota formula due popoli – due stati? Il disegno di nuovi confini territoriali potrebbe coinvolgere quali Paesi in Ucraina e a Gaza secondo la Russia, e/o secondo i Paesi o gli Enti o gli individui influenti che supportano Hamas e altre organizzazioni terroristiche costituenti attuali minacce ad una tregua globale?
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La Russia accetterebbe un piano pluridecennale condiviso di dismissione/trasformazione delle centrali nucleari presenti in Ucraina, secondo piani di collaborazione multidiscilinare internazionale con nuove regole di transparency?
Non si dovrebbe aspettare troppe ore per avere risposte, di cui ci si potrebbe fidare poco, tuttavia nessuno avrebbe oggi buone ragioni per fidarsi dell’occidente, in modo del tutto speculare. E le risposte potrebbero essere anche molto poco rassicuranti, ma si avrebbe il pregio di avviare realmente un dialogo su questioni sostanziali e lo si dovrebbe fare a carte scoperte, di fronte a tutte le opinioni pubbliche, a partire da almeno qualche ammissione d propri errori e violazioni di diritti internazionali.
Queste ingenue domande e altre, anche migliori, dovrebbero essere esplicitamente poste a Russia Iran e Cina da un’Europa capace di dialogo e di propria rifondazione, annettendo fra i propri nuovi valori la schiettezza, in attesa di cogliere, con il Neumann del 1944, che le prossime sole guerre saranno quelle che l’umanità intera, unita, combatterà contro gli effetti antropici del clima, o non saranno.